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Mammì accese le tv in Italia e fu crocifisso dagli anti Cav

Addio a Oscar Mammì, padre della legge che modernizzò l'etere. E per questo fu vittima della guerra contro Berlusconi

Mammì accese le tv in Italia e fu crocifisso dagli anti Cav

Le pipe, le carte, la storia di Roma, i giudizi come graffi. Il migliore? Giulio Andreotti, non c'è partita: «Inarcava la perfezione del potere, che può servire il bene e il male». Il peggiore? Forse Massimo D'Alema: «Un mix di cinismo e di lucidità. Mi ricorda il conte di Montecristo». Li ha conosciuti tutti Oscar Mammì, che in novant'anni è stato bancario, politico di lungo corso, scrittore, giocatore sopraffino di scopone scientifico, leader del Pri, persino coraggioso windsurfista. Ma la cosa per cui passerà alla storia è la legge che nel 1990 riordinò la giungla del sistema radiotelevisivo decretando la fine del monopolio della Rai: come nel resto del mondo civile, le Tv private, non più «pirate», diventarono legali. E fu così che un uomo di sinistra si trasformò nella prima vittima dell'antiberlusconismo, tre anni prima che il Cav pensasse di scendere in campo.

Mammì è morto dopo una lunga malattia. Era nato a Roma nel 1926, si era laureato in Economia e Commercio ed era entrato presto in banca. Poi, la passione politica ebbe la meglio. Dopo gli esordi in Campidoglio, nel 1968 fu eletto alla Camera nel Pri di Ugo La Malfa. Rimase in Parlamento per un quarto di secolo. In quegli anni ricoprì diversi incarichi di partito e di governo, da Rumor ad Andreotti, passando per Colombo, Craxi, Goria e De Mita. Nel 1987 fu nominato ministro di Poste e Telecomunicazioni, un posto cruciale. Erano gli anni in cui la riorganizzazione degli spazi televisivi era entrata nel cuore del dibattito politico. La sua legge, la legge Mammì, duramente ostentata dal variegato partito-Rai, provocò scontri, polemiche infinite tra Craxi e De Mita, e addirittura una crisi, con le dimissioni in blocco dei ministri della sinistra dc dal governo Andreotti.

Nel 1993 abbandonò pure Mammì. Nel clima di Tangentopoli bastava un vago sospetto per stroncare delle carriere e infatti contro di lui, dopo l'arresto del suo collaboratore Davide Giacalone, non c'era più di un sospetto, mai concretizzato. Ma Oscar decise che dopo 25 anni era comunque il caso di dire basta. Intanto il suo Pri, una delle formazioni più antiche e prestigiose della politica italiana, iniziava a liquefarsi. Mammì, che non volle partecipare al lungo rito delle divisioni e della diaspora repubblicana, si ritirò. Appassionato di spettacolo - suo genero è il critico cinematografico Marco Giusti - ricomparve in pubblico soltanto nel 2005, quando partecipò alla fiction Tv «Walter e Giada, i migliori anni della nostra vita», liberamente tratto dai Promessi Sposi. Nel ruolo dell'Innominato si divertiva a dare ai politici pagelle e ruolo teatrali. I leghisti per lui erano come i bravi manzoniani, «mostrano il coltello ma non lo usano». Per gli altri giudizi ancora peggiori.

«Io ho vissuto la grande stagione dei partiti, ora è l'epoca dei personaggi». Da allora risparì, dedicandosi alla scrittura di un libro sullo scopone, che lui spesso aveva giocato in coppia con Pertini.

«Dovrebbe essere insegnato nelle scuole di buona politica, peccato che non siano mai state aperte».

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