
Ruben, 19 anni, aveva fissato i confini del mondo, inscatolandoli nella sua stanza. Da qui non usciva mai. Abbarbicato allo schermo del pc come un detenuto con le mani attaccate alle sbarre. Una prigione fisica, e mentale, da cui la madre voleva liberarlo. Per amore. Una mamma non può assistere, inerme, all'autodistruzione del figlio. Salvarlo è suo dovere. Ma le tragedie possono scaturire anche dall'affetto, esattamente com'è accaduto ieri a Torino.
La donna, esasperata da una situazione che era diventata insopportabile, è entrata nel «territorio» privato - privatissimo - del giovane, ha afferrato il computer gettandolo in aria. Il ragazzo non era preparato a un trauma del genere, in quell'oggetto che volava ha visto una proiezione di se stesso e ha deciso di seguirlo, lanciandosi dal balcone. Un tuffo di cinque piani. Poi il tonfo. Ora è in fin di vita. Tutta colpa di quell'«amico inseparabile»: un pc dal quale non voleva, o non poteva, separarsi. Mai.
Ruben è ora ricoverato in gravissime condizioni. La sua è una storia triste: la storia di uno dei 100mila (ma non esistono stime ufficiali) hikikomori italiani, parola strana - ma non del tutto nuova - per il nostro Paese; hikikomori è infatti un termine giapponese che significa «stare in disparte» e descrive chi decide di «ritirarsi dalla vita». Nel mondo sono milioni e gli identikit sociali parlano di «giovani tra i 16 e i 30 anni particolarmente introversi e sensibili» a seguito di che decidono di recludersi in camera per l'«incapacità di instaurare relazioni soddisfacenti e durature»; ragazzi e ragazze che, nonostante l'alto quoziente intellettivo, «non riescono ad affrontare con efficacia le difficoltà e delusioni esistenziali». A scuola, in famiglia, nella società; senza amici in grado di aiutarli, senza parenti in grado di comprenderli. Una patologia «figlia della società del benessere», sostengono gli psichiatri, ma si sa che gli strizzacervelli ci azzeccano raramente. Del resto, è la realtà che grida, per capire (o tentare di farlo) bisogna ascoltarne le urla. E nel caso del 19enne di Torino ci descrive un contesto problematico tra una madre con problemi di depressione, un padre assente e una sorella andata via di casa. Un'abitazione popolare dove Ruben aveva deciso di soffocare giorno dopo giorno in compagnia della solitudine.
«Stava al computer dal mattino alla sera, e quando la madre gli diceva di smettere si infuriava», racconta una vicina. L'altroieri, poco prima delle 16, l'ennesimo litigio. La mamma di Ruben ha cercato di staccare il figlio dal computer. Invano. Allora ha afferrato la tastiera, scippandola al ragazzo. Ruben ha preso la rincorsa e si è lanciato dal balcone.
Ha fatto un volo di cinque piani. I soccorsi l'hanno trovato agonizzante. Inginocchiata c'era la madre disperata.Ruben è in prognosi riservata. Se si salverà bisognerà aiutarlo a guarire. Cominciando con l'allargare i confini della sua stanza.