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Le mancate promesse di Renzi ci sono costate oltre 90 miliardi

Dai debiti della Pa alla spending review: ai proclami del premier non sono seguiti i fatti. Pure le riforme al palo non aiutano la ripresa

Le mancate promesse di Renzi ci sono costate oltre 90 miliardi

Roma - Novantatrè virgola venticinque miliardi di euro. È il conto salato delle promesse mancate del premier Matteo Renzi. Slide, conferenze stampa, annunci e, talvolta, «incidenti di percorso» - come la sentenza della Consulta sulle pensioni - hanno generato una serie di aspettative il cui mancato compimento ha un risvolto economico molto significativo.

Ovvio che la fetta più grande di questa somma sia costituita dal mancato pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni: sono circa 70 miliardi di euro a fine 2014, come ricordato anche ieri dal Giornale. Si tratta di una montagna di fatture da saldare che è rimasta sostanzialmente immutata perché Stato ed enti locali non sono riusciti a onorare l'impegno, preso direttamente dal presidente del Consiglio, di chiudere con le pendenze al 31 dicembre 2013 entro la fine dell'anno scorso. Sebbene 36 miliardi siano stati pagati, la Pa ha continuato a spendere e il bubbone non si è ridotto.

Al secondo posto della graduatoria figura l'indicizzazione delle pensioni. Il pronunciamento della Corte Costituzionale, in teoria, avrebbe imposto l'adeguamento all'inflazione di tutti i trattamenti pensionistici in essere per gli anni 2012 e 2013 (e, di conseguenza, anche per il 2014 e il 2015). Renzi non aveva promesso nulla, è vero, ma per esigenze di bilancio ha trovato un compromesso che indennizza parzialmente e con un una tantum solo le pensioni comprese tra 3 e 6 volte l'assegno minimo con una spesa di 2,2 miliardi a fronte dei 16,3 miliardi di costo.

Sul gradino più basso del podio c'è la spending review 2014: Matteo Renzi aveva promesso tagli e risparmi, ma dei circa 10 miliardi previsti per l'anno scorso se ne sono realizzati circa 6 miliardi. L'ammanco di 4 miliardi è coperto da maggior deficit. Che significa più debito e più interessi da pagare. La caccia al «fantasma» della crescita economica è costato non poco.

Più contenute in valore assoluto ma non meno imbarazzanti sono le cifre relative alla mancata o parziale realizzazione di impegni assunti contestualmente all'incarico di governo. Ad esempio, la ristrutturazione di alcuni edifici scolastici è stata finanziata per poco più di un miliardo sui 3,5 promessi inizialmente con un ammanco di circa 2,5 miliardi. Il mini-taglio Irap per le imprese è stato cancellato retroattivamente con la legge di Stabilità, imponendo alle aziende di versare 2 miliardi in attesa dei prossimi sgravi. Questi ultimi sono stati finanziati per circa 5 miliardi ma saranno fruibili solo dall'anno prossimo. Chiamarla una poco elegante «partita di giro» non è offensivo nei confronti di Palazzo Chigi.

Molta delusione avrà provocato nel terzo settore il sottofinanziamento del Fondo per le imprese sociali. Renzi aveva promesso 500 milioni, ne sono arrivati solo 50. Mancano quindi ben 450 milioni rispetto a quelle fatidiche slide del 12 marzo 2014. Quota 93,25 miliardi si raggiunge con i 50 milioni di stipendi dei senatori. La riforma costituzionale è ancora in fieri e un po' di ritardo rispetto alla tabella di marcia. Quel risparmio non sarebbe stato certo realizzato quest'anno né il prossimo, ma va comunque segnalato perché l'impeto riformatore tanto sbandierato all'inizio del mandato non ha trovato finora sufficienti conferme. Anzi, a voler essere «cattivi», si potrebbe imputare a Renzi anche la minor spinta propulsiva causata dalle riforme rimaste al palo. L'Ocse le ha stimate in uno 0,6% di Pil all'anno.

Circa 9 miliardi di euro in fumo come le promesse.

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