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"La manovra ci ha costretto a sospendere i fondi Pir"

L'ad di Mediolanum sul pasticcio legislativo che coinvolge i piani di risparmio: «Così salterebbe l'esenzione fiscale»

"La manovra ci ha costretto a sospendere i fondi Pir"

Ieri Banca Mediolanum ha comunicato alla rete dei suoi oltre 4mila consulenti finanziari che la vendita di nuovi Pir è sospesa. È la conseguenza di un pasticcio combinato dal governo con la manovra. I Piani individuali di risparmio, introdotti nel 2017, sono fondi destinati ai risparmiatori, esenti da ogni imposta se tenuti almeno 5 anni. E il fondo deve investire in prevalenza in società italiane e di medie dimensioni. Per Massimo Doris, ad di Banca Mediolanum, l'operatore leader che più di tutti ha creduto fin da subito nei Pir, superando i 4 miliardi di patrimonio, è stata una decisione sofferta, ma obbligata.

Perché avete fermato i Pir?

«Perché la legge di Bilancio ha introdotto modifiche legislative che i nuovi Pir non sarebbero in grado di rispettare, non consentendo al risparmiatore di beneficiare dell'esenzione fiscale».

Questo non vale per i vecchi Pir, giusto?

«Giusto: riteniamo che per i Pir acquistati nel 2017 e 2018 non cambi niente. Chi li ha già può effettuare versamenti aggiuntivi. Le novità riguardano solo i Pir costituiti a partire dal primo gennaio 2019».

Cosa è successo?

«Il governo pone un obiettivo condivisibile e lodevole: portare più denaro alle imprese di più piccole dimensioni. Ma il testo di legge così com'è, non è concretamente applicabile. Il risultato è che il flusso di risorse verso l'economia invece di aumentare, rischia di rallentare».

Quali punti rendono la legge inapplicabile?

«Sostanzialmente due: l'obbligo di investire almeno il 3,5% del patrimonio del fondo in piccole e medie società dell'Aim con determinati requisiti (meno di 250 dipendenti e 50 milioni di fatturato) e un altro 3,5% in fondi di venture capital che investono in piccole imprese».

E qual è il problema?

«È un conto aritmetico: il patrimonio dei Pir a livello di sistema è di circa 23 miliardi: significa che almeno 800 milioni devono essere investiti in società dell'Aim con i requisiti richiesti dalla nuova norma, altrettanti in fondi di venture capital. Ma sull'Aim non ci sono 800 milioni di flottante sui quali investire con quelle caratteristiche, e men che meno esistono venture capital di quelle dimensioni. Inoltre i fondi di tipo aperto non devono rispettare solo le indicazioni legislative, ma anche le regole di Bankitalia. Ad esempio, i requisiti di liquidità: non possono investire più del 10% in strumenti illiquidi. Ma se con questa legge si pone il limite minimo al 7%, se anche fosse possibile raggiungerlo, significa che in presenza di riscatti, a fronte dei quali vendiamo titoli per forza liquidi, è molto probabile che ci troviamo a sforare i limiti di Bankitalia».

Un bel pasticcio: come è stato possibile?

«Lo ripeto: l'obiettivo è giusto, ma la legge è stata scritta senza verificare l'effettiva e immediata applicabilità».

Il governo ha 120 giorni per i decreti attuativi: potrebbe sanare la cosa. Proposte?

«L'idea di investire di più sull'Aim va molto bene, ma la percentuale deve essere adeguata al flottante attuale, molto, molto minore del 3,5%. Inoltre, stabilite le percentuali inferiori, bisogna dare ai fondi un termine temporale ragionevole per effettuare gli investimenti. Un'altra soluzione potrebbe essere quella di Tommaso Corcos, presidente di Assogestioni: lanciare fondi chiusi dedicati alla pmi che, essendo più illiquidi, abbiano maggiori benefici fiscali.

Siete il primo operatore privato sui Pir: cosa suggerite?

«Il governo potrebbe sedere al tavolo con Assogestioni e autorità di vigilanza e insieme trovare una soluzione. E farlo in fretta, nel giro di 1-2 mesi massimo, nell'interesse dell'economia italiana».

C'è una stima di quante risorse in meno affluiranno al mercato?

«Non è possibile dirlo.

Per quanto ci riguarda, guardando i numeri del 2018, l'impatto sarebbe stato di oltre 400 milioni.

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