Politica

Le manovre segrete della nomenklatura Pd: Matteo leader a metà

Le correnti tramano per condizionare la vittoria del segretario. E limitarne i poteri

Le manovre segrete della nomenklatura Pd: Matteo leader a metà

Una standing ovation per la radicale Emma Bonino (che qualcuno al Lingotto già immagina presidente del partito), al suo debutto davanti alla platea del Pd renziano, che attacca la linea Minniti sull'immigrazione. Applausi scroscianti per il filosofo Biagio De Giovanni, punta di diamante della sinistra riformista partenopea, che dice parole durissime contro le procure d'assalto e la loro guerra alla politica: «Nessuno vuole una repubblica giudiziaria: in Italia è urgente un riequilibrio dei poteri».

Al Lingotto di Matteo Renzi non mancano le rotture di continuità col passato, anche se per vincere le primarie dopo la rottura con gli scissionisti ex Pci l'ex premier torna a guardare anche a sinistra, lanciando come suo alter ego il ministro Maurizio Martina. È toccato a lui, ieri, dare il la alla seconda giornata: «Basta divisioni a sinistra, del nemico vicino: così abbiamo regalato alla destra intere praterie insperate», tuona. E tocca a lui mandare una risposta alle avance di Giuliano Pisapia, che lanciando il suo Campo Progressista a Roma ingiunge a Renzi di fargli sapere se si alleerà con lui. L'ex premier non dice nulla, Martina è delegato a dare risposte affettuose quanto vaghe. Di parere contrario Dario Franceschini, che invece auspica apertamente future larghe intese con il centrodestra berlusconiano: «Alle prossime elezioni nessun polo avrà la maggioranza da solo, quindi il Pd deve iniziare a costruire un campo largo» per fronteggiare i partiti populisti. Oggi a Torino ci sarà il premier Paolo Gentiloni, ad ascoltare le conclusioni di Renzi. Ci sarà anche il ministro Luca Lotti, che a giorni dovrà fronteggiare la mozione di sfiducia sul caso Consip (ieri al Lingotto c'era suo padre).

Intanto, dietro le quinte, sono in corso le grandi manovre congressuali. E c'è il tentativo sotterraneo di vari pezzi della mozione pro-Renzi di condizionarne la vittoria, e di limitarne i futuri poteri. «È necessario che dopo il congresso Matteo non abbia una maggioranza autosufficiente in direzione e in Assemblea nazionale, e che non possa dettare la linea e fare quel che gli pare come finora», ragiona uno dei fautori del «commissariamento» futuro. Per questo sul territorio è in corso un braccio di ferro tra le correnti (renziani doc contro franceschiniani, ex Ds, Turchi, ex lettiani ecc) sulla composizione delle liste o forse del listone unico - dei delegati che saranno collegate alla mozione pro-Renzi. Il coordinamento dell'operazione è affidato a Lotti, che nelle scorse primarie riuscì a consegnare a Renzi una maggioranza blindata. Stavolta la corsa è più in salita, anche per gli effetti della scissione: in zone chiave, come l'Emilia Romagna, molti uomini di Bersani ed Errani sono rimasti nel Pd, anziché seguirli in Dp, per fare - si sospetta - da quinte colonne interne, con lo scopo di boicottare Renzi e aiutare Andrea Orlando. Con il quale, ipotizzano alcuni renziani di primo piano, dopo la vittoria delle primarie occorrerà fare un patto, magari nominandolo vice di Renzi, per ricompattare il partito e affrontare uniti difficili elezioni amministrative. La vittoria del leader uscente viene data per scontata al Lingotto. Molto però dipenderà anche dall'affluenza alle primarie: «Sopra i due milioni, Matteo diventa intoccabile.

Ma sotto il milione e mezzo, saranno in molti ad annunciare che è indebolito», dicono i suoi.

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