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Mantovani reo di «consenso» Ecco i buchi neri dell'inchiesta

Incongruenze nelle accuse al vicepresidente della Regione Lombardia: dalle tangenti inesistenti alle «pressioni» negate dalla stessa vittima

Mantovani reo di «consenso» Ecco i buchi neri dell'inchiesta

Milano - C'è una vittima presunta che nega di essere una vittima. Ci sono favori promessi e in realtà mai ottenuti. Lavori fatti per la collettività e contestati invece come vantaggi personali. Nell'inchiesta che ha sbattuto in una cella di San Vittore il vicepresidente della Lombardia Mario Mantovani, vi sono indubbiamente spaccati eloquenti di un andazzo dove all'interesse pubblico si soppianta spesso quello del politico, della sua cordata, del suo bacino elettorale; e vi è altrettanto evidente il conflitto di interessi potenziale di uno stesso individuo che è businessman dell'assistenza e assessore alla Sanità. Ma vi sono anche buchi neri e incongruenze che lasciano alla difesa di Mantovani spazi ampi per una battaglia con la Procura che si annuncia aspra: a partire dalla richiesta di scarcerazione che quasi certamente l'avvocato Roberto Lassini, difensore di fiducia dell'ex senatore, presenterà dopo l'interrogatorio di oggi.

PRESSIONI O CONSIGLI

Mantovani è accusato di concussione ai danni di Pietro Baratono, provveditore alle Opere pubbliche della Lombardia, per averlo costretto ad riaffidare incarichi operativi a Angelo Bianchi, un funzionario che era stato messo da parte in quanto inquisito per corruzione. A verbale, Baratono parla di «pressioni molto decise» da parte di Mantovani, ma dopo l'arresto dell'ex senatore, parlando col Giornale , ha modificato il tiro: «Non pressioni, direi consigli». Sta di fatto che Baratono si guardò bene dal denunciare le pressioni o i consigli di Mantovani, rimise Bianchi al suo posto, e ai pm spiegò: «Su Bianchi ho successivamente maturato un giudizio personale nel corso di quell'anno».

LA TANGENTE NON C'È

«Tangenti sui dializzati», titolano ieri i giornali sull'arresto di Mantovani, affrontando il tema eticamente più delicato dell'affare, l'appalto per il servizio di trasporto pubblico dei nefropatici. In realtà, la Procura non ipotizza che siano passate tangenti, tant'è vero che a Mantovani e all'assessore Massimo Garavaglia viene contestato solo il reato di turbativa d'asta. I due sarebbero intervenuti per consentire ad alcune associazioni di volontariato della loro zona di continuare a svolgere il servizio («Te lo segnalo prima che poi ci rompono le balle che abbiamo escluso la croce azzurra», dice Garavaglia a Mantovani). E ieri al Giornale il presidente della onlus che Mantovani avrebbe «miracolato», la Ticinia, spiega: «Non abbiamo chiesto nessuna raccomandazione, abbiamo solo scritto a tutte le istituzioni che alle gare d'appalto non avrebbe potuto partecipare l'intero mondo del volontariato, che statutariamente non può svolgere servizi commerciali. E infatti noi quel servizio non lo svolgiamo più».

LA TEORIA DEL CONSENSO

L'accusa di corruzione mossa a Mantovani riguarda gli appalti e gli incarichi pubblici che avrebbe fatto avere all'architetto Gianluca Parotti in cambio di una serie di lavori svolti per lui dal professionista gratuitamente o a prezzo ridotto. Alcune di queste prestazioni riguardano Mantovani e i suoi familiari, ma altre sono state effettuate da Parotti a favore della collettività di Arconate.

Ma Mantovani ci guadagnava ugualmente, dice il giudice, perché era il sindaco del paese e in questo modo «si avvantaggia in termini di consenso».

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