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Marine, Emmanuel e l'arte di Schopenhauer

Quando in una disputa il vostro avversario comincia attaccandovi frontalmente, potete appoggiarvi allo schienale e rilassarvi

Marine, Emmanuel e l'arte di Schopenhauer

di Roberto Mordacci*

Quando in una disputa il vostro avversario comincia attaccandovi frontalmente, potete appoggiarvi allo schienale e rilassarvi. È segno che non ha altri argomenti, quindi avete già vinto. È questo che consigliava Schopenhauer in un libriccino che ogni aspirante politico dovrebbe imparare a memoria: L'arte di ottenere ragione. In 38 stratagemmi. Quello dell'attacco personale è l'ultimo, il più disperato, quello che mira solo a impedire ogni ragionamento, ogni discussione nel merito, in una parola ogni dialogo.

È precisamente questo che ha fatto Marine Le Pen durante l'intero confronto elettorale con Emmanuel Macron. Lo ha attaccato su tutto: la sua appartenenza al precedente governo, la vicinanza agli ambienti finanziari, persino su un presunto conto alle Bahamas. È una strategia ad personam: annullare o ridurre la credibilità dell'avversario, non le sue opinioni, che potrebbero persino essere corrette. Però, fatto questo, per vincere bisogna rischiare, fare proposte. Ora, quando si trattava di esporre un programma preciso, Le Pen prendeva a sfogliare nervosamente le carte, ricorrendo ad altri due stratagemmi schopenhaueriani: la frase identitaria e l'enormità. Alla prima corrisponde l'uso ripetuto dell'idea di «sottomissione»: Macron sarebbe sottomesso alla Merkel e i francesi non sono sottomessi (un evidente richiamo agli elettori di Mélenchon, il cui motto è «Rejoindre la France insoumise», «Riunirsi alla Francia non sottomessa»). Sottomissione è anche il titolo di un romanzo molto letto di Michel Houellebecq, in cui si immagina una Francia sottomessa a un Presidente islamico. L'opposto della sottomissione è la sovranità, ma la scelta lessicale è indicativa sia dell'ammiccamento a Mélenchon sia del richiamo al valore identitario più francese che esista: la liberté. All'enormità appartengono invece le promesse di governo, come l'idea che uscendo dall'Unione Europea si risparmierebbero 9 miliardi con cui finanziare programmi sociali per soli francesi.

Macron ha iniziato difendendosi anche troppo dagli attacchi, ma una volta capito il gioco non ha potuto che replicare invocando la sua parola chiave, cioè quella di verità. Se la post-verità può funzionare, ma forse una sola volta, in un paese come gli Stati Uniti di Trump, nel paese di Cartesio le verità chiare e distinte hanno ancora un peso. E accusare di menzogna, cosa che i due contendenti hanno fatto reciprocamente, ha un ruolo fondamentale: non si tratta solo del «fact-checking», ma proprio della responsabilità di governo. Sempre Schopenhauer ammoniva che nelle dispute le menzogne sono ammesse, ma devono essere credibili per essere efficaci. Così, «menzogna», «falsità» rivolte all'avversaria e «bisogna dire ai francesi la verità» sono frasi che, unite alla competenza, miravano a consolidare il posizionamento «istituzionale» di Macron, il suo aspetto rassicurante. Il linguaggio non è tutto, ma è un segnale più potente della mimica e dell'immagine: sottomissione e menzogna, sovranità e verità, libertà e responsabilità. L'opposizione di questi due universi linguistici è naturale e legittima. Ciò che invece fa solo da schermo oscurante ai potenziali argomenti è l'attacco personale. Se tutto si riduce a questo, noia e disincanto sono inevitabili. E non favoriscono nessuno dei due candidati.

*Preside della Facoltà di Filosofia

dell'Università VitaSalute San Raffaele

e direttore del Master in Tecniche

del discorso pubblico e comunicazione di impresa

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