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Marino pensa di restare e manda il Pd nel panico

Il dietrofront: verifica in Aula. Orfini lo gela: sfiducia. Altre grande da New York, spunta la cena con Pallotta

Marino pensa di restare e manda il Pd nel panico

Roma - È una sorta di auto-riabilitazione, quella del sindaco Ignazio Marino, per aprire la strada ad un clamoroso dietrofront sulle sue dimissioni.

Lui, che dice di essersi dimesso per rispetto verso l'autorità giudiziaria, prima si fa sentire dai magistrati che lo tengono sotto torchio quattro ore («come persona informata sui fatti», garantisce), poi invece di andare in Tribunale, come aveva annunciato, al processo contro l'ex direttore dell'Ama Giovanni Fiscon manda al suo posto l'assessore Alfonso Sabella, e convoca una conferenza stampa per spiegare la questione degli scontrini «sospetti». Anche se in realtà non spiega nulla. I romani si devono accontentare delle sue rassicurazioni: «È stato tutto chiarito, non sono indagato e non ho mai speso soldi pubblici per fini privati, semmai il contrario». Marino, che c'eravamo quasi abituati a chiamare ex sindaco, frena dunque la sua uscita dalla scena politica capitolina. Ai giornalisti che gli chiedono se si presenterà alle prossime elezioni con una sua lista, dà una risposta piuttosto eloquente: «Ribadisco di avere 20 giorni per fare una verifica politica sulla maggioranza in Consiglio comunale». Il sindaco dem, dunque, sembra averci ripensato. Aveva assicurato che la sua decisione era definitiva. Invece eccolo, convinto che un paio di frasi ad effetto - con l'avvocato accanto pronto a garantire che le spiegazioni fornite lo hanno riabilitato trasformandolo dal peculatore quale era ritenuto al galantuomo quale è - siano sufficienti a ripulirgli l'immagine. E forte del fatto che la Procura non l'ha ancora indagato, prepara un altro dei suoi colpi ad effetto. «Ho ancora tempo per riflettere e verificare», dice. Ma è chiaro che ha deciso di dare filo da torcere al Pd fino all'ultimo e infatti i consiglieri sono già pronti al voto di sfiducia, con il presidente Matteo Orfini che assicura di non voler andare avanti con Marino. Dall'opposizione si fa sentire Alfio Marchini, che sceglie Twitter per commentare: «L'ennesima puntata di una commedia che sta umiliando Roma e i romani. Aspettando il dreamteam va in onda nightmare».

Il sindaco definisce «vergognosi» gli esposti del Movimento 5 Stelle e di Fratelli d'Italia sulle sue spese istituzionali, «scritti da persone in malafede o da ignoranti», che lo accusano tra l'altro di aver usato fondi pubblici per la tintoria quando a lavare erano stati mandati gli abiti storici dei trombettieri. Poi, però, non risponde a chi gli domanda con chi fosse a tavola nelle cene smentite dalle «istituzioni» citate nei giustificativi di spesa: «Ho già detto tutto ai magistrati». In realtà, davanti ai pm, Marino ha giocato come al solito a scarica barile, disconoscendo le firme in calce ai giustificativi che sarebbero stati allegati agli scontrini dagli uffici comunali a posteriori, risalendo alle vere finalità istituzionali delle cene dagli appuntamenti in agenda. Anche se l'avvocato Enzo Musco sottolinea che il sindaco si è difeso senza accusare nessuno, di fatto il suo staff è stato tirato in ballo. Nessun falso, però, quella di registrare dopo molto tempo gli scontrini sarebbe una prassi burocratica validata anche dal regolamento Anci sui rimborsi. Salta fuori intanto un'altra cena sospetta tra le ricevute. A tavola con il sindaco, in trasferta a New York per parlare del nuovo stadio della Roma nella capitale, c'era James Pallotta. Era il 22 agosto del 2014. Il conto però lo ha pagato Marino, nonostante fosse Pallotta a dovergli essere grato per la concessione delle cubature: 526,33 dollari, più 50 di mancia. Il menù era a base di pesce, pagato 173 dollari, e di un vino costato 210 dollari. Costo totale del viaggio: 1.

228 euro.

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