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Marino si aggrappa a Sel ma si scalda il commissario

Il sindaco dimissionario vuole restare, il Pd è deciso a sfiduciarlo ma la sinistra si sfila. E Gabrielli lo gela: nomina il 2 novembre

Marino si aggrappa a Sel ma si scalda il commissario

Roma - Volano stracci, non solo storni, nel cielo di Roma. Mentre la scadenza del 2 novembre si avvicina, continua la guerra di nervi tra il sindaco dimissionario ma non troppo Ignazio Marino e la sua ormai ex maggioranza, con il Pd sempre più fermo nel dichiarare chiusa l'esperienza della giunta del chirurgo genovese e quest'ultimo sempre più tentato dal ritirare le dimissioni (eloquente il «non vi deluderò» urlato ai suoi sostenitori, domenica scorsa) e portare la querelle fin dentro l'aula del consiglio comunale. E sulla sanguinante ferita (autoinflitta) dei dem, sparge sale Sel, che annuncia: non voteremo una mozione di sfiducia a Marino nemmeno se targata Pd. I dem potrebbero quindi dover contare sui voti delle opposizioni. Mentre Alfio Marchini ricorda di aver chiesto il commissariamento già due anni fa: «Se ci avessero ascoltato avremmo evitato a Roma questa farsa incomprensibile».

Insomma, il finale cruento non è affatto da escludere, anche se a fare il pompiere prova il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, che evita ogni giudizio sul sindaco «adulto e vaccinato», invitandolo però ad assumersi la responsabilità dei suoi comportamenti, e «restando agli atti» si prepara a firmare il 2 mattina il decreto per nominare il commissario che guiderà il Campidoglio: «Se sopraggiungerà qualcosa di diverso ne prenderemo atto». Ma a chi gli chiedeva se mangerà il panettone con Marino, replica secco: «Chi può dirlo».

Non certo i dem, che con l'uva passa rischierebbero di strozzarsi. Tanto che schierano contro il sindaco un plotone di dichiarazioni. Se il vicesindaco, Marco Causi, parla di «arroccamento privo di sbocco politico», Matteo Orfini, presidente Pd commissario romano del partito, a Repubblica non nasconde la stizza per l'«atteggiamento ridicolo» e il «balletto inconcepibile» del sindaco, promettendo che se ritira le dimissioni «lo sfiduceremo». Anche il capogruppo in Campidoglio, Fabrizio Panecaldo, si augura che il sindaco che ha «trasformato in boomerang» pure i successi della giunta si arrenda, mentre la senatrice Pd Monica Cirinnà parla di «giudizio pessimo» per l'amministrazione e Gennaro Migliore bolla la resistenza del sindaco come quella di chi «antepone i suoi problemi agli interessi della città». Pure il ministro della Cultura, Dario Franceschini, evoca il «malessere diffuso» nella capitale, e stoppa il chirurgo genovese: «Il sindaco dev'essere romano». A chiudere il cerchio, un comunicato congiunto del gruppo capitolino del Pd che afferma come i consiglieri siano «tutt'uno» con il partito «nel giudicare l'amministrazione Marino». Dunque, parrebbe, pronti a sfiduciarlo o a dimettersi in blocco. Ma molti dei consiglieri, visti i malumori della base per la gestione del caso, reclamano un intervento diretto del premier Matteo Renzi nella vicenda, per non essere i soli a sporcarsi le mani (e il consenso).

Marino aspetta alla finestra, medita sul da farsi e intanto vara un provvedimento per stabilizzare 2mila maestre d'asilo, confermando l'iperattivismo post-dimissioni. E guardando, in prospettiva, a un orizzonte più lontano del giorno dei morti. Per lui, forse, solo un miraggio. Per altri, un incubo.

I mesi di Marino alla guida di Roma. Proclamato sindaco il 12 giugno del 2013, ha rassegnato le dimissioni il 12 ottobre scorso

Sono i consiglieri comunali che compongono il gruppo del Pd in Campidoglio intenzionati ad opporsi ad un possibile Marino bis

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