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Mattarella e l'orgoglio per la Grande guerra: sarà l'anno della Vittoria

Il presidente mette in agenda il centenario del 1918: l'idea di una celebrazione ad hoc

Mattarella e l'orgoglio  per la Grande guerra: sarà l'anno della Vittoria

L'anno della vittoria italiana. Nel passaggio sui ragazzi del '99, Mattarella usa questo termine («vittoria») per riferirsi al 2018, per l'appunto centesimo anniversario della vittoria italiana nella Grande Guerra, una data solitamente annacquata in formule più neutre per non rischiare l'accusa di eccessivo patriottismo, la «fine della Prima guerra mondiale», «l'anniversario dell'armistizio». Invece il presidente della Repubblica sdogana il termine nel discorso di fine anno: «Nell'anno che si apre ricorderemo il centenario della vittoria nella Grande guerra e la fine delle immani sofferenze provocate da quel conflitto».

Il capo dello Stato sta ragionando, insieme ai suoi più stretti consiglieri al Quirinale, su un evento per celebrare la vittoria italiana del 1918, una cerimonia diversa da quella tradizionale prevista, come ogni anno, il 4 novembre. Per i dettagli è ancora troppo presto, ma un'iniziativa del Quirinale è data per certa, e le parole di Mattarella nel discorso del 31 dicembre - calibrate e dosate con la massima cura - in cui cita il «centenario della vittoria» sembrano confermarlo. L'esercito italiano lo farà in pompa magna, e il presidente della Repubblica italiana è anche il capo supremo delle forze armate. Ma l'accento sulla vittoria è una novità che non deriva automaticamente dalle prerogative costituzionali del capo dello Stato. Anche se lo spirito con cui Mattarella intende celebrarla riguarda l'eroismo dei soldati italiani sul fronte più che la vicenda politica dell'Italia nella Grande Guerra. Come già era chiaro negli interventi del capo dello Stato per le celebrazioni del centenario della Prima guerra mondiale, quando a Monte San Michele nel Carso per l'anniversario dell'entrata in guerra dell'Italia ha detto di essere lì «per ringraziare le nostre Forze Armate, per rendere onore a tutti coloro che in questi luoghi, in queste trincee, patirono, soffrirono e morirono. E compirono gesti di grande valore e di grande coraggio». Il sacrificio dei soldati, il valore dell'esercito italiano sporcato dalla memoria di Caporetto.

Le celebrazioni affidate nel 2014 da Palazzo Chigi al comitato organizzatore presieduto dall'ex presidente del Senato Franco Marini, si sono tenute a debita distanza da ogni sospetto di rievocazione patriottica, la psicosi da «fascismo alle porte» a sinistra è troppo acuta per permetterselo (fu proprio il fascismo a cambiare il nome della festa del 4 novembre in «Anniversario della Vittoria»). «Il principio ispiratore del progetto italiano - si legge sul suito governativo del centenario - è il recupero della memoria storica». Non si va oltre. Che la materia sia scivolosa lo prova anche la storia della «festa» del 4 novembre. La data «celebra la fine vittoriosa della guerra, commemora la firma dell'armistizio siglato a Villa Giusti (Padova) con l'Impero austro-ungarico ed è divenuta la giornata dedicata alle Forze Armate» ricorda l'Esercito nelle pagine della Difesa. Ma in Italia non è più un giorno festivo, e tantomeno una festa della vittoria. Istituita nel 1919, e poi celebrata dal regime mussoliniano come «la data più memorabile della storia italiana, la data della nostra Vittoria, di quella Vittoria che per noi è una conquista da rinnovare ogni giorno» (discorso di Mussolini il 4 novembre 1925), la festa del 4 novembre (ormai «Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate») ha smesso di essere una festa nel 1977. In un momento di crisi economica per l'Italia si vollero eliminare due giorni di pausa dal lavoro, per cui la «Festa della Repubblica» fu spostata dal 2 giugno alla prima domenica di giugno mentre il 4 novembre cessò di essere un festivo.

Solo con Carlo Azeglio Ciampi si tornò al 2 giugno come festivo, ma non il 4 novembre, malgrado l'impulso dell'allora presidente sul valore simbolico della ricorrenza. Una memoria contrastata anche sulle canzoni che celebravano l'eroismo dei soldati italiani in trincea.

«La canzone del Piave», composta nel 1918, fu adottata come inno nazionale italiano nel 1943, proprio perché celebrava la vittoria nella Grande Guerra, ma fu poi sostituito dal Canto degli Italiani di Mameli nel 1946 (fatale fu l'opposizione di De Gasperi, risentito perchè l'autore Giovanni Ermete Gaeta si rifiutò di comporre l'inno della Dc).

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