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Matteo a Luigi: rimpasto subito. "Via i dissidenti, dentro la Meloni"

Il leader M5s: tra i miei c'è chi lavora per spaccare il Movimento. E si ipotizza di "salvare" la Raggi con un voto su Rousseau

Matteo a Luigi: rimpasto subito. "Via i dissidenti, dentro la Meloni"

L'immagine che cerca di rimandare all'esterno è quella di un'ostentata sicurezza. Ma è ormai da giorni che Di Maio è sfiancato dal bombardamento cui è sottoposto il M5s. Prima l'Ilva, poi il via libera al condono, infine l'uno-due Tav e Tap. E il 10 novembre arriva pure la sentenza sulla Raggi che, in caso di condanna, rischia di finire vittima dello Statuto del Movimento che ha fatto la sua fortuna al grido di «onestà, onestà» (anche se l'idea sarebbe quella di «salvarla» con un voto sulla piattaforma Roussean). Che il vicepremier inizi a vedere fantasmi in ogni dove è quindi comprensibile. Al punto che non si è stupito più di tanto chi in privato lo ha sentito argomentare che «nei gruppi parlamentari c'è chi lavora per spaccare il M5s» e «favorire l'ingresso nel governo di Fratelli d'Italia». Il riferimento, niente affatto implicito, è al voto sul dl Sicurezza, che lunedì arriverà nell'aula del Senato. E pure alle posizioni tenute negli ultimi giorni dal sentore grillino De Falco, molto critico sul disegno di legge e considerato «troppo vicino» al partito della Meloni. Insomma, il vicepremier dà per certo che sia in corso un'operazione per puntellare il governo e rimpiazzare i dissidenti M5s con i 32 deputati e i 18 senatori di Fdi.

Uno scenario tutt'altro che improbabile, tanto che il tema rimpasto è stato oggetto di diverse conversazioni. Non solo tra Di Maio e Salvini, ma pure tra il ministro dell'Interno e la leader di Fdi. D'altra parte, dopo il faccia a faccia dello scorso maggio in cui Di Maio ha neanche troppo educatamente rimandato al mittente l'offerta della Meloni di sostenere il governo a fronte di un ministero, i rapporti tra i due sono piuttosto freddini. Ragion per cui a gestire la trattativa è direttamente Salvini. Non è un caso che lunedì scorso il ministro dell'Interno abbia teso una mano alla Meloni: «Vediamoci presto per ragionare di Europee e di Roma». Un'apertura che contempla anche il tema rimpasto che, per ovvie ragioni, rimane pubblicamente un non detto. Nonostante un pezzo importante di Fdi sia convinto che il leader della Lega lavori da tempo a «cannibalizzare» ilpartito e che un eventuale candidatura della Meloni al Campidoglio sia solo un modo per «farla fuori» (se vince dovrà occuparsi di governare una città ormai ingovernabile, se perde è politicamente morta), la leader di Fratelli d'Italia non avrebbe accantonato l'idea di sostenere l'esecutivo gialloverde. Tanto che ieri non escludeva un sostegno al dl Sicurezza a condizione che il governo non metta la fiducia. «I numeri sono numeri, se davvero si apre un problema al Senato è chiaro che chiederanno a noi, non certo al Pd o a Forza Italia», le fa eco il vicepresidente della Camera Rampelli. Insomma, potrebbe essere un primo passo.

Non è un mistero, infatti, che la Meloni tema di restare politicamente prigioniera di un'opposizione che rappresenta i vecchi partiti (Pd e Forza Italia), mentre il cosiddetto sovranismo è al governo del Paese. Di qui l'ipotesi di dire sì a un rimpasto che anestetizzerebbe la fronda del M5s vicina a Fico. Tra i ministeri in bilico, il più gettonato è notoriamente quello della Salute. La Grillo, insomma, è certamente in pole tra i ministri che potrebbero cedere il passo. Pure il titolare delle Infrastrutture Toninelli non gode politicamente di ottima salute, ma il suo rapporto con Di Maio potrebbe blindarlo. Discorso a parte per il ministro dell'Economia Tria. Pare che la scorsa settimana abbia nuovamente paventato le dimissioni. Sulle quali sarebbe ancora intervenuto il Colle. Se davvero dovesse saltare il banco con lo spread oltre i 400 punti, è il ragionamento che si è fatto al Quirinale, «la reazione deve essere immediata, nelle successive 24-36 ore».

E per questo è essenziale avere una sponda affidabile a via XX Settembre.

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