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Matteo, selfie e governo Il tour del «poliziotto» travestito da ministro

Salvini spazia da Como a Brescia in mezzo a cittadini offesi e candidati alle Comunali

Matteo, selfie e governo Il tour del «poliziotto» travestito da ministro

La Piazza e il Palazzo. È ministro, ma prosegue l' interminabile campagna elettorale. Matteo Salvini si sdoppia e raddoppia: nel pomeriggio corre a Como, crocevia di una frontiera sempre più complicata, e abbraccia la città scossa da un brutto episodio: alcuni stranieri hanno picchiato gli autisti di due autobus che chiedevano il biglietto. Strette di mano. Foto. Promesse muscolari: «Apriremo centri di espulsione in ogni regione».

Poi il titolare del Viminale va a Brescia, per incoronare il candidato sindaco Paola Vilardi. E ancora una volta il leader della Lega deve dimostrare doti di equilibrismo: Vilardi, avvocato, è di Forza Italia che a Roma è all'opposizione di Salvini. Due forni e un rebus che spacca la politica. Salvini, per ora, prova a rispondere con i fatti. Eccolo a Como, con l'idea di fondere i due personaggi che coabitano in lui: un governo di lotta, con scadenze precise e incombenti, nessuna etichetta e zero formule ampollose. Quasi parla come un poliziotto travestito da ministro, il Matteo nazionale: «Uno degli aggressori non sarà più in giro sugli autobus di Como, fra l'altro in passato non ottemperò ad un ordine di espulsione e ha già dei precedenti penali. Se martedì, quando sarà processato, «non dovesse essere condannato, verrà comunque messo in attesa di espulsione».

Si, il responsabile del Viminale ha costruito la propria immagine sulla questione sicurezza e non può fallire dove gli altri hanno fatto cilecca. Cosi, quasi controlla a vista l' evoluzione del caso, offre soluzioni a 72-96 ore, cerca di rassicurare chi pensa che lo Stato sia sparito. Ma poi da Como la riflessione si allarga a tutta Italia e al programma in rampa di lancio. Qualcuno lo guarda col tarlo del dubbio e lui dettaglia, per far comprendere che non è un modo di dire: «Sono centri chiusi, controllati e fondamentali per espellere le persone ma chi mi ha preceduto non ha ritenuto opportuno aprirli».

Ce la farà? Chissà, forse si perderà nel labirinto di un Paese in cui ogni regola è vanificata da mille eccezioni, o forse no. Lui incalza, quasi fosse ancora dall'altra parte della barricata: «Al terzo aggressore, con precedenti penali per droga, non possiamo togliere la possibilità di fare ricorso. E allora farò una telefonata al tribunale di Genova, perché da un anno pende il ricorso di questo soggetto a cui è già stata bocciata la richiesta di asilo». Una chiamata per superare quel senso di frustrazione e impotenza davanti ai criminali.

Selfie e comizi. Roma, Como, Brescia per sfruttare il vento sempre più impetuoso. Fra i fan in delirio e gli abitanti di una piccola metropoli sempre più multietnica che vogliono sconfiggere la paura e lo spaesamento. Lui parte deciso: «Abbiamo fatto più noi in sette giorni che quelli del Pd in sette anni». Poi racconta quel che ha visto a Como: «Abbiamo ereditato anni di buonismo. Adesso basta. Prima ti davano un foglietto, con su scritto autoespelliti. Ora si cambia: daremo una sforbiciata alle spese per l'accoglienza. E guai a chi mette le mani addosso a un poliziotto o a un carabiniere». Certo, ammette: «Questo è un governo un po' strano». Ma lui, dopo aver enumerato tutti quelli che lo attaccano, da Balotelli a Soros, lo difende: «I Cinque stelle non li conoscevo, ma li ho trovati ragionevoli». E annuncia: «La prima legge che smonteremo è la Fornero».

Prima di comporre un velocissimo autoritratto: «Io faccio il ministro in strada».

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