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Matteo va al rischiatutto: "Sì al Mattarellum e poi urne"

Accelerazione sulla legge elettorale. Ok del partito ma c'è già chi prova a frenare. Congresso rinviato

Matteo va al rischiatutto: "Sì al Mattarellum e poi urne"

Roma - Sul tavolo, Matteo Renzi mette subito la sua carta: il Mattarellum, «l'unico modello di legge elettorale che ha visto vincere sia il centrosinistra che il centrodestra». Per provare a «giocare l'ultima possibilità di un sistema maggioritario» ed evitare di «scivolare verso il proporzionale», verso quel rischio di «palude» da Prima Repubblica che, se si lascerà fare alla Corte Costituzionale, è con ogni probabilità assicurato. E «non è un caso» se, con un certo sarcasmo, il leder democrat ha scelto proprio La Prima Repubblica, inno del film Quo Vado di Checco Zalone, come sigla di apertura della Assemblea nazionale.

È una carta, il Mattarellum (sistema per tre quarti maggioritario di collegio e per un quarto proporzionale escogitato da chi oggi siede al Quirinale), che offre a Renzi il duplice vantaggio di tenere unito il Pd, tant'è che la minoranza, sia pur obtorto collo, non può che accodarsi alla proposta del segretario, e di andare subito a vedere il gioco delle altre forze politiche. Il nemico più pericoloso, nelle prossime settimane, sarà quello che il segretario Pd chiama «la Melina», ossia il tentativo di allungare il più possibile il brodo della legislatura, che prevedibilmente verrà attuato trasversalmente dai partiti. Non a caso, tra i primi ad uscire allo scoperto ci sono i grillini, che con Gigi Di Maio mettono subito le mani avanti, spiegando che non c'è alcun bisogno di attivare il Parlamento: meglio aspettare i tempi della Consulta, che il 24 gennaio, con grande calma, inizierà la pratica Italicum, e lasciar fare a loro. Del resto i Cinque Stelle, travolti dal sempre più imbarazzante caso Roma, non hanno alcuna voglia di andare al voto, e preferirebbero attendere serenamente la fine della legislatura, maturando nel frattempo le pensioni parlamentari.

Ma non sono certo gli unici a non volere il voto: anche Forza Italia frena (bocciando il Mattarellum), e una parte del Pd lavorerà sotto traccia per «la Grande Melina». Non solo nella minoranza bersaniana, atterrita all'idea di andare al voto con Renzi segretario che fa le liste elettorali, ma anche nella sua trasversale maggioranza.

Di elezioni anticipate, Renzi non parla se non per un accenno: «Stiamo andando al voto, non sappiamo quando. Ma sono gli altri ad averne paura». Questione di fair play, visto che accanto a lui siede il premier Paolo Gentiloni, che ha voluto essere all'Ergife per confermare la piena sintonia tra lui e il suo predecessore. Tanto che alla fine del dibattito twitta: «Bel discorso di Matteo Renzi, per un Pd forte che riparte dall'Italia. Con ambizione e responsabilità».

Ma di lì a poco è il ministro Graziano Delrio a mettere in chiaro che il percorso resta quello: «Il voto popolare al referendum dice una cosa chiara: che gli italiani vogliono votare. E questo punto deve restare in agenda».

Da segretario del Pd ben in sella (il congresso è rinviato, proprio per evitare di arrivare in campagna elettorale con un Pd immerso nel suo spesso surreale dibattito interno, ieri è nata anche la corrente del governatore Pd Enrico Rossi candidato alla segreteria), Renzi proverà dunque a contrastare «la Melina» avviando subito il confronto sulla legge elettorale. L'alternativa, ricorda, è andare al voto col pasticciatissimo Consultellum proporzionale cucinato dai soliti giudici della Corte: «In quel caso - ironizza - io mi candiderò al Senato, visto che gli italiani han deciso di tenerselo.

E, in prospettiva, punto alla presidenza del Cnel».

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