Cronache

Medaglia all'ultimo militare deportato nei lager

Vincenzo Saponara, 97 anni, premiato dal capo dello Stato: "Giusto che si sappia cosa accadde"

Medaglia all'ultimo militare deportato nei lager

Com'è il mondo visto da dietro il recinto di filo spinato di un lager nazista? Quali immagini dolorose ti trafiggono occhi, cuore e anima? E che odori si percepiscono, quando le narici sono sporche della «polvere» sputata dai camini dei forni crematori? Vincenzo Saponara, 97 anni, ha deciso di raccontare la sua odissea. Si è convinto a farlo da vecchio, quando la sedimentazione degli anni ha finalmente «ripulito» - ma non del tutto - il fango dei ricordi più brutti. Il maestro elementare Saponara, di Tolve (Potenza), è uno di quei personaggi di cui la Basilicata dovrebbe andare orgoglioso. Ieri il presidente della Repubblica lo ha insignito, per il tramite del prefetto del capoluogo lucano, della «Medaglia d'Onore» in qualità di «ultimo degli italiani deportati e internati nei lager nazisti». «Un'onorificenza che non è solo mia - ha subito tenuto a precisare Saponara - ma di tutti i 600mila militari deportati (Imi, Internati Militari Italiani) nei lager del Terzo Reich dopo l'8 settembre 1943».

In pochi tornarono in Patria dopo il loro stoico «no» alla Repubblica sociale, e i superstiti finirono nell'oblio di uno Stato disattento ai drammi degli uomini che hanno fatto la Storia. Ma Vincenzo - che maestro lo è sempre rimasto nonostante sia in pensione da una vita - non poteva dimenticare la sua vocazione alla didattica. E così, in tarda età, si è convinto a scrivere le pagine del diario più tragico della propria esistenza. «È giusto che gli adulti non dimentichino e che i giovani sappiano», spiega. «Non dimenticare» e «sapere» sono le due facce della medaglia del passato: una passato che, nel caso di Saponara, è dominato da incubi e fantasmi. Quelli della guerra, dei morti, delle privazioni, delle umiliazioni. E dei lager nazisti. Eccolo il suo racconto: l'ha intitolato «Dietro il recinto di filo spinato: da Moosburg a Freising, ricordi di un maestro lucano dai campi di concentramento» e una piccola ma gloriosa casa editrice, «Osanna» (un nome che pare un'invocazione), glielo ha pubblicato: «Sono uno degli italiani deportati in Germania nel 1943. Non ho mai voluto scrivere un diario dei miei ricordi di prigionia perché troppo traumatizzanti, dolorosi. Ho scritto di getto queste pagine di ricordi. Alla fine mi sono chiesto: perché l'ho fatto? Per affidare ai giovani uno dei tanti messaggi di pace? Io un modesto, piccolo uomo? L'ho fatto sperando che non si ripetano gli orrori della guerra? Utopia, illusione. Non lo so. Spero mi leggano almeno i miei amatissimi cinque nipoti».

Caro maestro, lo hanno letto in molti di più.

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