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Il medico di Dj Fabo: "Lo hanno usato per fare un pasticcio"

Il chirurgo: "Sì a regole e rispetto delle scelte del paziente, ma non a farlo morire di fame"

Il medico di Dj Fabo: "Lo hanno usato per fare un pasticcio"

Milano - Carlo Serini, senza la vicenda di Dj Fabo la legge sul biotestamento probabilmente non sarebbe mai stata approvata. Questa è la sua legge?

«Lui non c'entra e la sua vicenda è stata strumentalizzata. Non c'è l'eutanasia, non c'è il suicidio assistito. Si parla della possibilità, acclarata, che si possa dire prima cosa fare e cosa non fare. Non c'è scritto che si possa preparare un macchinario che un malcapitato possa mordere per avere infusa la molecola letale». Carlo Serini, medico chirurgo specializzato in anestesia e rianimazione, ha conosciuto Fabiano Antoniani e lo ha assistito a casa per un anno: «L'ho curato, ho riso e scherzato con lui - ha detto - ho sempre rispettato le scelte sue e dei suoi cari anche quando non le condividevo».

Come giudica la legge?

«È un'occasione persa, è confusa, raffazzonata. Prende il mezzo sbagliato per raggiungere un obiettivo giusto. Confonde la funzione con la sopravvivenza dell'organismo».

Lei non nega la necessità di una legge?

«Tutt'altro. Onore al merito a chi ha avuto il coraggio di farci uscire da un silenzio troppo lungo. È giusto poter dare a una persona la possibilità di dire: se mi succede questo, voglio che si sia fatto quello. Il principio di rifiutare un trattamento, peraltro, è già nella deontologia dei medici. Per il principio di beneficenza, se qualcosa giova al paziente bisogna farlo, se non giova bisogna non farlo o sospenderlo. È vero che qualche medico potrebbe proiettare la propria etica sulle cure, per cui normarlo come legge potrebbe essere giusto».

E lei non è condizionato dalle sue idee politiche?

«Parlo da medico, non da politico. Parlo di biologia, non di ideologia. Sono molto laico».

Se Fabo fosse ancora in vita, questa legge non cambierebbe la sua condizione?

«Non credo che avrebbe cambiato particolarmente la sua situazione. Per lui non si poteva fare altro, in casi diversi si può migliorare il fine vita. Mi dispiace che Ambrogio Fogar non sia più fra noi, sono convinto che direbbe: non fate in modo che il mio organismo debba sentire i morsi della fame che ha patito nei 70 giorni alla deriva nell'oceano».

Sta parlando dell'interruzione dei trattamenti di alimentazione e idratazione?

«Questa legge non considera le leggi di natura e biologia quando permette a qualcuno di interrompere una legge scritta che è scritta nelle molecole, e riduce il medico a mero esecutore di altrui volontà, immiserendo la dimensione professionale del medico. Il deus ex machina citato più volte è il giudice tutelare, e questo dà conto della mancanza di consapevolezza».

È un intervento a furor di popolo? O di populismo?

«Peggio. C'è un populismo dell'ignoranza. L'idea di far parlare proprio tutti di tutto. L'oclocrazia come degenerazione democratica».

Qual era la strada corretta?

«È giusto dire cosa voglio o non voglio, ma non si può dire: Voglio morire di fame, è una lettura ideologica. I digiuni di Marco Pannella finivano quando veniva idratato forzosamente dai medici. Una terapia di supporto si può interrompere. Paziente, parenti e curanti possono. La sopravvivenza non si interrompe. Non lo dico io ma le regole per cui ogni organismo, dal batterio all'uomo, si alimenta».

Cosa non si può fare?

«Io ho conosciuto un uomo affetto da una terrificante malattia neurodegenerativa e dipendente da ogni forma di supporto. Quando arrivai era da un mese privo di alimentazione e idratazione, uno scheletro vivente. Ma gli era stata lasciata la terapia di supporto alla funzione. La sua scelta era sì quella di uscire dalla malattia, ma l'interpretazione è stata non ti tolgo il supporto alle funzioni, ma ti lascio morire di fame. Io ho sospeso la terapia di funzione, ripristinando la nutrizione. È morto sì ma non di fame. Se lascio qualcuno morire di fame posso anche soffocarlo.

È come mettere la mano sulla cannula impedendo che continui a respirare».

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