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Tra menù stellati e terme. Ma a Bormio nulla batte pizzoccheri e buon vino

Gli sciatori preferiscono le piste di Livigno. Chi ama il relax punta alla vasche all'aperto

Tra menù stellati e terme. Ma a Bormio nulla batte pizzoccheri e buon vino

nostro inviato a Bormio (So)

Il fatto è che ai bormini dei turisti gliene frega il giusto. Loro sono sempre così da decenni, tutti pizzoccheri e Sfursàt di Valtellina, uno dei migliori vini d'Italia, fatto di uva Nebbiolo come il Barolo, anche se qui la chiamano Chiavennasca e la coltivano su pendii talmente ripidi da meritarsi la medaglia al valore dell'enologia eroica, quella che si fa strappando ogni acino dalle mani di una natura matrigna. E infatti una delle sottozone si chiama Inferno.

Tutti pizzoccheri, quindi, Sfursàt di Valtellina e al massimo un goccio di Amaro Braulio, fatto di erbe valtellinesi, di cui i negozi di via Roma traboccano a casse e a bottiglie. Non che a Bormio i forestieri siano guardati male, intendiamoci. Né loro né gli sciatori, che sulla pista Stelvio o sulla Deborah Compagnoni (la slalomista bormina tre volte oro olimpico sposata a un Benetton. E che volete: ti fa sempre impressione che qualcosa sia dedicata a qualcuno non solo vivo e vegeto ma anche più giovane di te) trovano pane per i loro sci, anche se molti preferiscono la vicina Livigno, se per vicinanza si possono intendere una ventina di omerici chilometri di una strada gelata. E nemmeno gli escursionisti attratti d'estate dal parco nazionale dello Stelvio. È che i bormini hanno un loro ritmo interiore, da metropoli in miniatura ma anni Sessanta, e il nuovo in fondo è sempre peggio del vecchio. E se qualcuno i pizzoccheri li fa con i frutti di mare loro disapprovano. A loro modo, gutturalmente o silenziosamente, ma disapprovano.

Eppure anche qui qualcosa cambia. Il migliore ristorante bormino si chiama Umami, che è la parola che definisce il quinto gusto (oltre ai familiari dolce, salato, aspro e amaro) e che solitamente si accosta all'idea di una cucina trasgressiva, esotica, modaiola. Lo chef si chiama Antonio Borruso, viene da lontano, ha una stella Michelin e fa parlare di sé. Ma i bormini guardano di sottecchi quell'insegna così metrosexual e preferiscono prendere l'auto e arrampicarsi fino alla frazione Ciuk, alla Baita de Mario, dove tutto è di legno senza il minimalismo industriale che fa tanto città, dove andava anche Giorgio Gaber, dove ci sono le foto con i vip appese alla parete e infatti c'è anche Gaber e dove la bionda titolare Tiziana Zappa, terza generazione di ristoratori, ti offre la torta alle noci con panna e mirtillo che secondo lei è il piatto richiamafolle (e folle ce ne sono).

Che poi Bormio ha il suo vanto nelle terme che erano già note ai Romani, che della faccenda erano intenditori, e che avrebbero bagnato anche i geniali lombi di Leonardo da Vinci. Sono i bagni termali la vera chance di portare in questo angolo di Lombardia lontano da Milano quasi tre ore di auto un turismo sofisticato e spendaccione. Si può scegliere tra il medioevo dei Bagni Vecchi e il glamour ottocentesco dei Bagni Nuovi (ove l'aggettivo non va preso proprio alla lettera), entrambi di proprietà di QC ed entrambi affollatissimi di giovani coppie contente che si debba indossare il costume, contrariamente a quanto accade pochi km a Nord, in Svizzera, dove la nudità imposta per igiene e calvinistico rigore tiene lontani i neopuritani trentenni.

Gli ospiti vi trascorrono lunghe ore per ammortizzare il biglietto di ingresso non proprio economico e le lunghe file alla reception per strappare un accappatoio numerato che poi cambierà più volte di proprietario da un appendino all'altro, perché il numero non lo guarda nessuno, e poi si trascinano in passi di valzer in ciabatte tra le saune, le vasche, il percorso Kneipp che alterna caldo e freddo e sferza membra impigrite da piumini, piumoni e piume da cipri. E su tutti la bellissima vasca panoramica all'aperto che dà il ruspante brivido di farsi due passi seminudi a gradi meno sette sentendosi Amundsen in braghette.

Da queste parti ci si guarda in cagnesco anche spostandosi da una valle all'altra srotolando la rudimentale toponomastica dell'Alta Valtellina, la Valdidentro, la Valdisotto, l'esotica Valfurva di Santa Caterina. Collaborare non piace, ai bormini non piacciono i livignaschi contrabbandieri e benzinai, ché visto che Livigno è ancora per molti aspetti un porto franco da tutta la zona vengono a fare il pieno a 38 euro quando altrove lo pagheresti 60 nelle stazioni di servizio in fila come soldatini annoiati. E i livignaschi non amano i bormini molli e imborghesiti. E tutti non amano i furici, che sono gli abitanti della Valfurva.

Ma è il bello di questo posto, amatissimo dai turisti.

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