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Il Messico non paga il muro. Salta la visita ufficiale in Usa

Il presidente Peña Nieto non andrà a Washington. E Donald: "Dazi del 20% sulle vostre importazioni"

Il Messico non paga il muro. Salta la visita ufficiale in Usa

New York - Stati Uniti e Messico sono sempre più ai ferri corti: dopo un duello a distanza tra i due presidenti, Donald Trump ed Enrique Peña Nieto, è saltata la visita di quest'ultimo a Washington, in programma per il prossimo 31 gennaio. Al centro della diatriba, ovviamente, c'è l'ordine esecutivo firmato dal Commander in Chief Usa per la costruzione del muro anti-immigrati al confine, e l'affermazione da parte del tycoon che l'operazione sarà «al 100% a carico del Messico, in un modo o nell'altro». E «l'altro modo» annunciato dal portavoce della Casa Bianca Sean Spincer in serata, è un imposta del 20% applicata su tutte le merci prodotte in Messico e vendute in America. A poche ore dalla luce verde al decreto, Peña Nieto ha tuonato: «Pretendiamo rispetto, e comunque non saremo noi a pagare». «Mi rammarica la decisione degli Stati Uniti di continuare la costruzione di un muro che da tanti anni ci divide», ha continuato, precisando di «non credere nei muri». Parole a cui The Donald ha risposto per le rime, come sempre via Twitter: «Se il Messico non è disposto a pagare per il muro, di cui c'è disperato bisogno, allora sarebbe meglio cancellare l'incontro» della prossima settimana. Peña Nieto ha preso atto: «Questa mattina abbiamo informato la Casa Bianca che non parteciperemo alla riunione programmata il prossimo martedì», ha scritto in un tweet, pur ribadendo che il suo Paese «conferma la volontà di lavorare con gli Usa per raggiungere accordi a beneficio delle due nazioni». «L'incontro sarebbe stato inutile, improduttivo», ha replicato Trump parlando all'Assemblea dei repubblicani tenutasi ieri a Philadelphia, dove lo speaker della Camera, Paul Ryan, ha spiegato che il muro costerà tra i 12 e i 15 miliardi di dollari (in precedenza si era parlato di otto miliardi).

La previsione è che il Congresso approvi i fondi per entro la fine dell'anno fiscale, a settembre. Per protestare contro la stretta sull'immigrazione, intanto, il popolo anti-Trump è tornato in piazza a New York, dove migliaia di persone si sono date appuntamento a Washington Square Park, nel cuore di Manhattan, tenendo alti cartelli con scritto «resistere» e «nessun muro». La barriera con il Messico, però, non è soltanto quella fisica che vuole costruire Trump, ampliando i circa mille chilometri di frontiera già protetti da forme di recinzioni costruite nel 1994, durante la presidenza di Bill Clinton. La distanza tra i due Paesi c'è anche sul fronte economico, con la volontà del tycoon di rinegoziare l'accordo di libero scambio Nafta: «Gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale di 60 miliardi di dollari con il Messico. Da quando c'è il Nafta è stato un affare a senso unico, con numeri enormi...». E dopo gli immigrati, Trump prepara la prossima offensiva, questa volta contro il Palazzo di Vetro. Secondo il New York Times, il presidente sta lavorando ad alcuni decreti per ridurre drasticamente il coinvolgimento degli Usa nelle Nazioni Unite e in altre agenzie internazionali. Una mossa che potrebbe ridimensionare enormemente l'azione di diverse agenzie Onu, visto che l'America è prima nella classifica dei contributori. D'altronde, subito dopo l'elezione, il re del mattone aveva parlato dell'organizzazione come di un «club di chiacchiere dove ci si diverte».

Da parte sua, il portavoce del Palazzo di Vetro si è detto «consapevole del clima attuale», precisando che «gli Stati Uniti sono sempre stati impegnati verso l'Onu a prescindere da chi è alla Casa Bianca», e affermando che le Nazioni Unite «sono ansiose di dare il via ad un dialogo solido e di sostanza con la nuova amministrazione» non appena arriverà la nuova ambasciatrice Nikki Haley nei prossimi giorni.

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