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Milano, parte la guerra legale contro la candidatura di Sala

Raffica di esposti e ricorsi contro le presunte irregolarità nella discesa in campo di Mister Expo. Grillini e radicali: «C'è conflitto di interessi, non può correre»

Milano, parte la guerra legale contro la candidatura di Sala

Milano Un esposto fotocopia è già stato spedito via fax alla Procura di Milano, all'Autorità nazionale anticorruzione e al Garante della concorrenza e del mercato. È firmato dal radicale Marco Cappato, che a Milano si è candidato sindaco contro i big. Lo sfidante del Movimento 5 Stelle Gianluca Corrado invece recapiterà oggi un ricorso al Tar, chiamato a esprimersi d'urgenza entro lunedì: contesta l'ammissione della candidatura di Beppe Sala da parte della commissione elettorale. E se l'uomo del Pd sarà eletto, prima ancora di insediarsi a Palazzo Marino potrebbe trovarsi a difendere la poltrona da un secondo ricorso al Tar, questa volta dei radicali convinti (a differenza dei grillini) che si debba attendere il risultato elettorale per - eventualmente - impugnarlo. Il manager continua a definire «sciocchezze elettorali» o «ennesima puntata del fango» i dubbi sollevati due giorni fa da Panorama sulle dimissioni a metà da commissario Expo. «Palazzo Chigi le ha protocollate il 18 gennaio» ripete, ma non c'è traccia di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri che le ratifichi, e ora sarebbe fuori tempo massimo visto che il 7 maggio scadeva il termine per depositare le liste per le Comunali. Se Sala è ancora formalmente in carica, secondo la legge Severino c'è un conflitto di interessi e non può candidarsi. Peraltro il 3 febbraio Sala ha ancora firmato il «Rendiconto Esercizio 2015» come «Titolare della contabilità speciale», sotto c'è la sigla del «sostituto», l'avvocato Francesco Marzari, che teoricamente doveva decadere con le dimissioni del commissario e invece è rimasto nel suo ufficio anche dopo il 18 gennaio. Esposti e ricorsi mirano a chiarire anche la seconda ombra su Sala: il 25 ottobre ha accettato un posto nel cda di Cassa e Depositi e Prestiti non dichiarando di avere un ruolo da commissario governativo. Ennesima dimenticanza o falso in atto pubblico? «La precisazione di Palazzo Chigi non precisa nulla, perché Sala ha continuato a firmare atti anche dopo la supposta data di protocollazione delle dimissioni - contesta Cappato - Almeno si dimetta da Cdp, conviene anche a lui». Il candidato renziano non ci pensa: «Se sarò eletto, lascerò il giorno dopo». Sugli atti successivi al 18 gennaio spiega che «sono dovuti, ho firmato anche il bilancio pochi giorni fa non va bene?». Come ex amministratore delegato (carica da cui risulta dimesso dal 18 febbraio) aveva l'obbligo di presentare ai liquidatori il rendiconto. Diverso è firmare un atto da commissario. Sala su RaiNews24 ha sostenuto che «neanche per annullare i poteri di Letizia Moratti ci fu un decreto». Sbagliato, l'ex premier Silvio Berlusconi lo firmò il 5 agosto 2011. Un caso del 2015, riguarda il Commissario straordinario per la realizzazione dell'asse ferroviario Torino-Lione (c'è un decreto del Consiglio dei ministri).

Caso rispolverato ieri dal «colonnello» Fdi Ignazio La Russa: proprio a Milano la lista è stata esclusa per un errore materiale, il Tar ha già bocciato il ricorso e lunedì si riunirà il Consiglio di Stato. Ha chiesto al premier «un decreto urgente che dia 48 ore di tempo alle liste escluse di sanare la posizione: «Non si possono usare due pesi e due misure, l'irregolarità di Sala è ben più grave».

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