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«Un milione di profughi pronto a sbarcare in Europa»

La procura di Palermo avverte: rischio esodo dalle coste di Tripoli Altro naufragio vicino a Rodi: 200 in mare. È allarme infiltrazioni

«Un milione di profughi pronto a sbarcare in Europa»

CataniaDalla costa di Tripoli sono pronte a partire «un milione di persone». Adesso che il Mediterraneo si è riempito di corpi come mai negli ultimi anni, 700, forse 900, ora che il mondo conosce le storie atroci che la Sicilia e l'Italia conoscevano da tempo, sempre ignorate - uomini e donne morti stipati sotto le botole del peschereccio, i sopravvissuti che annaspano nell'acqua attaccati ai cadaveri, bambini gonfi d'acqua che galleggiano tra le onde, uno degli scafisti, un tunisino che, sembra, si sarebbe nascosto tra i sopravvissuti trasportati a Catania sulla nave Gregoretti -, si inizia a lanciare un grido d'allarme. È un'emergenza umanitaria che ricorda le fughe degli antichi popoli, la diaspora del terzo millennio mai prevenuta e che ora esplode con numeri finalmente comunicati. Lo ha fatto ieri il procuratore aggiunto di Palermo, Maurizio Scalia, titolare dell'inchiesta sugli scafisti che ha portato allo smantellamento di una rete con basi italiane, mentre nuovo particolari aggiungono orrore alla strage di domenica, e a Rodi un altro barcone fa naufragio: c'erano tre livelli su quel peschereccio maledetto abbandonato in mezzo al mare, a 70 miglia dalle coste libiche, che nella notte di sabato ha chiamato il centro di soccorso della Guardia Costiera. Come le classi del Titanic. Uomini e donne schiacciati ai piani inferiori, il secondo e il terzo, chiusi con le botole come bestie, morti lì, bloccati nelle assi di legno del barcone dell'ecatombe del Mediterraneo.

«Ci siamo aggrappati ai cadaveri per non affogare», ha raccontato il primo sopravvissuto della strage arrivato a Catania, un ragazzo di 33 anni del Bangladesh. La sua testimonianza deve ora essere incrociata con quelle degli altri 27 sopravvissuti giunti in tarda serata a bordo della nave Gregoretti della Marina. Verranno subito interrogati per capire se tra di loro ci sia uno o più scafisti. I 24 cadaveri recuperati sono stati portati a Malta, prima tappa della Gregoretti prima di puntare verso l'Italia.

E ieri mattina, ancora, un gommone partito dalla Turchia si è schiantato sugli scogli vicino al porto di Rodi, davanti alla spiaggia di Zephyros. Duecento persone si sono buttate in mare, tre sono morte, tra loro un bambino. In serata altri tre gommoni si trovavano in acque internazionali e uno di loro aveva lanciato l'allarme dichiarando la morte a bordo di venti persone. «C'è un traffico inarrestabile di uomini - ha detto Scalia - Dalle coste libiche sono pronte a partire un milione di persone».

I racconti della grande massa di immigrati pronta ad attraversare il mare arrivano anche dai sopravvissuti. «Dopo di noi erano pronti a partire 600 eritrei», racconta Kuduse dal suo letto di ospedale. Ha il volto quasi completamente avvolto dalle fasce, è ricoverata a Catania. Ha 16 anni e le si vedono soltanto gli occhi. Il barcone su cui viaggiava ha preso fuoco cinque giorni fa. «Gas», ripete, e fa cenno con la mano ustionata. Cinque persone che erano con lei sono morte.

L'allentamento delle regole in materia di immigrazione, sia in Italia che in Europa, ha soltanto reso ancora più fragili, oltre alle frontiere, gli stessi profughi. Il sistema del soccorso in mare tramite i mercantili, frutto dell'abolizione della missione Mare Nostrum , rende «non adeguato l'intervento di soccorso», ha chiarito da Catania il procuratore, Giovanni Salvi.

I controlli dopo gli sbarchi sono blandi e a grave rischio infiltrazioni. «A stento prendiamo le impronte digitali - spiega al Giornale il segretario generale aggiunto del Sap della polizia, Francesco Quattrocchi - Se la persona si oppone non possiamo obbligarla». Così vogliono le regole vigenti. Che non aiutano l'individuazione dei criminali, degli scafisti. «La maggior parte di chi arriva se ne va in libertà». Anche la fotosegnalazione si può fare solo dietro autorizzazione dell'interessato: «Possiamo solo fidarci del loro nome.

Il rischio infiltrazioni c'è, con tutte le smagliature nei controlli che ci possono essere in presenza di un flusso così consistente di persone».

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