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"Il mio bisnonno era italiano: ha diritto di riposare in Patria"

"Il mio bisnonno era italiano: ha diritto di riposare in Patria"

Eccellentissimo rav Di Segni,

le indirizzo queste poche righe in prossimità del Giorno della Memoria, cogliendo tale circostanza per manifestare la piena, totale e profondamente sentita adesione della mia Casa alle commemorazioni previste per il 27 gennaio, giornata in cui si ricordano le vittime della Shoah.

Non le scrivo per esprimere dalle pagine del Giornale giudizi sul regno del mio bisnonno Vittorio Emanuele III, lungo quarantasei anni, sul quale ho avuto modo di parlare molte volte dal mio rientro in Italia dopo la fine dell'esilio al quale ero costretto con mio padre, fino all'abrogazione della XIII disposizione transitoria della Costituzione, nel 2002. Se ricorda, il nostro primo atto al momento del ritorno in Patria fu una nota ufficiale di condanna delle ignobili leggi razziali del 1938, affinché ne restasse sempre un'inequivocabile testimonianza scritta. Concetti ripetuti anche in un altro documento che consegnai personalmente a nome della mia Casa al presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Amos Luzzatto nel corso della mia visita alla mostra sulle persecuzioni antiebraiche in Italia nel 2005.

Tutto ciò come doverosa premessa.

Sono rimasto però sinceramente addolorato leggendo la sua intervista pubblicata nei giorni scorsi su un noto quotidiano, nel corso della quale, in risposta ad una domanda sul rientro in Italia delle spoglie del mio bisnonno, Lei ha affermato lapidariamente: «Vittorio Emanuele III stava bene dove stava».

Le scrivo semplicemente per esternarle il mio sincero dolore per un'affermazione così dura, soprattutto perché nasce da un uomo che vive quotidianamente l'esperienza della fede e della preghiera come lei.

Le spoglie di Vittorio Emanuele III a suo avviso stavano bene dove stavano. Cioè in una chiesa di Alessandria d'Egitto, purtroppo esposta alla cieca violenza di matrice fondamentalista islamica che sta insanguinando quelle martoriate e bellissime terre. Una realtà che purtroppo sia lei che le Comunità ebraiche di tutto il mondo conoscono bene, vivendola quotidianamente sulla propria pelle. Chi meglio di lei poteva comprendere la nostra sincera preoccupazione familiare che la tomba venisse violata e profanata da terroristi e facinorosi assetati di odio e di vendetta?

Inoltre, Vittorio Emanuele III era italiano e io penso che ogni uomo abbia il più che fondato diritto di riposare nella terra in cui è nato e in cui è vissuto. Non penso quindi che Vittorio Emanuele III «stesse bene dove stava». E penso che lei ben conosca la sofferenza dell'esilio, un tema che torna spesso anche nelle pagine della Scrittura. Ricordo alcune parole del Salmista: «Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre...».

Mi ha invece fatto sinceramente piacere il suo grato ricordo di re Boris III di Bulgaria che sposò la mia prozia Giovanna di Savoia, figlia proprio di Vittorio Emanuele III e sorella prediletta di mio nonno, il Re Umberto II, nonché di Mafalda (deceduta nel lager nazista di Buchenwald nell'agosto 1944).

Concludo precisando che le rispondo dalle pagine del Giornale perché, pur non essendo molto complesso reperire i miei riferimenti, ha ritenuto opportuno manifestare il suo pensiero attraverso un quotidiano. Penso che, in ogni caso, sarebbe stato bello parlare per telefono o corrispondere per lettera: creare un momento di dialogo insieme porta sempre frutto.

Mi auguro ci sia occasione di presto incontrarla di persona.

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