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"Mio fratello, ucciso in Turchia perché prete"

Dieci anni dopo, la sorella diserta le celebrazioni: "Lì ho paura"

"Mio fratello, ucciso in Turchia perché prete"

Serena SartiniDopo dieci anni esatti dalla sua morte, la situazione dei cristiani in Turchia non solo non è migliorata ma è piuttosto peggiorata. Don Andrea Santoro, sacerdote della diocesi romana ucciso a Trabzon (Trebisonda), in Anatolia, il 5 febbraio 2006 mentre pregava nella sua chiesa nel nord della Turchia, è stato ricordato ieri, con una celebrazione presieduta dal cardinale Vallini, per aver annunciato il Vangelo fino al sacrificio della vita in una area geografica particolarmente ostile. Don Andrea fu ucciso da un uomo che, dopo aver gridando «Allah è grande», gli sparò due colpi di pistola alle spalle. La sorella, Maddalena Santoro, rinnova il suo perdono a chi ha ucciso materialmente suo fratello ma anche al mandante, «a chi ha ideato l'assassinio». E per la prima volta da quel febbraio 2006, Maddalena ha deciso di non recarsi a Trebisonda a pregare sul luogo del sacrificio di suo fratello perché la situazione per i cristiani è davvero critica.

«Mi dispiace tantissimo racconta al Giornale ma ho preso questa decisione perché ho percepito una certa difficoltà da parte delle autorità e della polizia nel proteggere i cristiani. Si sente il peso di una non libertà, non tranquillità e non serenità. E ho pensato fosse meglio non andare».

Come è la situazione dei cristiani in Turchia?

«Difficile, perché apparentemente c'è possibilità di movimento, ma in fondo non si può professare la propria fede pienamente e totalmente; sei sempre timoroso, la polizia fa sempre tante domande. Si ha paura di entrare in una chiesa e ri uscire dalla stessa porta. È difficile. Certamente nel Nord della Turchia, sul Mar Nero, la situazione è ancora più difficile. I cristiani sentono la fatica di vivere sotto tono. I musulmani vivono con molta più libertà rispetto ai cristiani».

Maddalena, si sente di perdonare chi ha ucciso don Andrea?

«Sì, è ciò che ci chiede Gesù. Perdono non tanto chi viene indicato come omicida, ma chi veramente ha nutrito nel cuore e ha formulato un pensiero sull'omicidio di don Andrea che non è stato organizzato in un attimo, ma è stato pensato e meditato e questo si capisce da tantissime cose. C'è anche una richiesta di conversione, di un rinnovamento di cammino che è personale ma anche istituzionale».

Cosa prova a dieci anni dalla morte di don Andrea?

«Il vuoto, è ciò che senti dentro quando ti viene ucciso un fratello. Senti che quella gente e quel popolo non l'hanno voluto, senti che hanno voluto eliminarlo e questo è ciò che rimane. Don Andrea era in Turchia per amare, per creare armonia fra realtà e fedi diverse».

Ci sono novità sui mandanti dell'assassino?

«No, non si sa nulla. Non siamo voluti entrare nel merito dell'aspetto giudiziario, perché la giustizia, in ogni Paese, deve fare il suo corso.

A volte non c'è la volontà, a volte c'è, ma ci sono complicazioni, per cui è inutile mettersi dentro a quello che è il cammino giudiziario».

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