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Moavero chiede la web tax per finanziare i migranti

La tassa sui colossi della Rete garantirebbe un gettito fino a 6 miliardi. Da investire nei Paesi nordafricani

Moavero chiede la web tax per finanziare i migranti

La web tax comunitaria come strumento per finanziare il piano Marshall europeo per l'Africa. È questa, secondo il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, il progetto che si sarebbe fatto strada durante l'ultimo Consiglio europeo. Poiché «l'idea è creare punti di raccolta e tutela nei Paesi di transito e in quelli rivieraschi per informare e assistere finanziariamente chi intenda tornare indietro», ha spiegato il titolare della Farnesina in un'intervista alla Stampa, «il summit ha espresso la volontà di stanziare le risorse nel prossimo quadro di bilancio Ue». L'opinione di Moavero Milanesi è che tali maggiori entrate dovrebbero essere «alternative alle attuali a carico dei singoli Stati» e dunque «si potrebbe assegnare il gettito dell'istituenda web tax europea».

La tassa dovrebbe assumere la forma di una cedolare secca sul fatturato realizzato dai giganti del web nei singoli Paesi dell'Unione europea. In questo modo colossi come Amazon, Apple e Google non avrebbero più la possibilità di rappresentare i ricavi legati alle centinaia di milioni di transazioni che si svolgono ogni giorni come una fornitura di servizi tra la piattaforma e la filiale europea delle corporation americane, generalmente situate in Irlanda in virtù della sua bassissima pressione fiscale. Basti pensare che tanto il governo Gentiloni che quello presieduto da Giuseppe Conte sono stati «costretti» a rimandare la partenza di questo nuovo tipo di imposta proprio perché soggetta a supervisione comunitaria. Nel nostro Paese il gettito previsto è di 5/6 miliardi che tornerebbero utilissimi per un qualsiasi progetto di spesa. Una simile entrata potrebbe coprire il primo anni di riforma delle pensioni con istituzione di «quota 100» per ritirarsi dal lavoro.

E forse non è un caso che le parole del ministro non siano state oggetto di nessun commento: le politiche di bilancio sono materia troppo delicata per l'Italia per far passare l'idea che una somma così ingente possa essere destinata al finanziamento degli hotspot da istituire in Libia e in altri Paesi nordafricani. Ed è proprio a questo che Moavero Milanesi accennava ieri. «Occorre negoziare specifici accordi assicurandosi che siano garantite condizioni adeguate e diritti umani: le conclusioni dei leader invitano a un lavoro diplomatico e finanziario difficile, ma nient'affatto impossibile», ha affermato.

La Libia ha richiesto maggiori risorse per far fronte all'emergenza migratoria che, dopo la chiusura dei porti italiani alle Ong, si è particolarmente aggravata ed è tornata alla carica proprio con l'Italia. Ma il ministro degli Esteri ha precisato che «intensificare gli investimenti in Africa e negoziare le intese coi Paesi di transito e origine» è un programma che deve essere effettuato «come Europa, non come singoli Stati».

Un elemento positivo dell'intervista di Moavero Milanesi è la sintonia raggiunta in tempi brevi tra il ministro «tecnico» e la coalizione gialloverde. Il titolare della Farnesina, convinto europeista, ha sgombrato il campo dal rischio di eventuali sudditanze psicologiche nei confronti dell'asse franco-tedesco. «Noi intendiamo sederci a ogni tavolo, sia collettivo, sia ristretto, purché costruttivo», ha dichiarato a proposito dell'ultimo vertice, aggiungendo che «non subiamo il complesso del club dei grandi perché ci interessa il concreto e il risultato, non la scena e le parole vane».

Ecco quindi che il ministro ha assicurato una «vigilanza più stretta sulle Ong» e ha lanciato un monito alla Germania: «Chi rifiuta centri per i rifugiati, tradisce lo spirito del vertice: la volontarietà vale per tutti».

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