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La moda risveglia le ottime cose fatte per durare

Da Celine e Westwood si riscopre e si ricicla Tra slanci borghesi ed esigenze green

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Parigi Le due facce della medaglia arrivano sulla passerella di Celine (senza l'accento) con una forza che rasenta la violenza. C'é la madre altoborghese con gonna a pieghe fatta benissimo, giacca sartoriale dal taglio sublime, stivali di rara bellezza e quel tipo di borsa a tracolla che sembra sportiva ma a malapena contiene lo stretto indispensabile. Poi c'è la figlia ribelle che non per colpa sua ha accesso al conto di papà con cui compra la versione lussuosa e costosa della divisa da contestazione: jeans tagliati da Dio, giacca maschile scolpita più che tagliata addosso, camicia di foggia piratesca ma non troppo e, soprattutto, un pesante gilet in montone con luccicanti ricami afgani.

In testa la ragazza sfoggia la zingaresca bandana lanciata a suo tempo da Loulou de la Falaise (musa e amica di Yves Saint Laurent) mentre la signora porta i capelli lunghi e sciolti con apparente noncuranza. Dopo i vent'anni ci vogliono ore di parrucchiere per sembrare appena uscite dal letto di un amante pur essendo pettinate benissimo, ma se hai il buon senso e la forza di volontà per mantenerti snella, vista da dietro sei uno schianto fino alla terza età.

Pensi a tutto questo durante la sfilata della terza collezione donna di Hedi Slimane per Celine, sorella della prima e gemella omozigote della seconda. Stavolta in più c'è lo chemisier, una forma di abito che sta bene a tutte (alle magre con cintura, alle altre con un bel blazer sopra) e che proprio per questo si vende benissimo. Ovviamente quelli del riottoso designer francese che per parte di madre ha origini italiane, sono a dir poco divini: meravigliosamente tagliati e cuciti nelle stoffe più belle che ci siano. L'ultimo, per esempio, sembra coperto d'oro liquido. Certo non c'è niente di nuovo se non il progetto che a questo punto appare molto chiaro: Slimane vuole vendere a quel tipo di persone che credono nel detto «chi più spende meno spende», ovvero le elite che non comprerebbero mai un pullover di cashmere a poco prezzo perché poi fa i pallini e dopo due lavaggi è mostruoso. Poi vende moltissimo anche e soprattutto ai modaioli che vanno in brodo di giuggiole per lui, ma questa è un'altra storia e gli permette d'imporre regole di mercato tipo: niente sconti, niente saldi e minimi d'acquisto molto alti per i negozi. In compenso l'invenduto non è un problema perché i cambiamenti tra una collezione e l'altra sono minimi. Invece nella moda di primissimo ordine firmata a quattro mani da Vivienne Westwood e dal suo giovane marito Andreas Kronthaler c'è una specie di rivoluzione, la più bella che si possa immaginare. I capi sono sempre improntati alla follia creativa che ha sempre contraddistinto la grande designer britannica e i suoi seguaci. Stavolta però Andreas trova un ordine dal caos e non solo perchè le pettinature prese dal Casanova di Fellini stanno benissimo con i corsetti che spuntano sotto gli abiti-nuvola fatti come tutta la collezione con tessuti filati a mano in Mali e tinti con colori atossici a Bogolan. Il tutto con un titolo strambo come Rock me Amadeus «perché dice lui - il nuovo tacco delle scarpe Animal Toe piacerebbe a Mozart». Solo qui, comunque, ha senso parlare di moda ed ecologia e non solo perchè una modella ha in testa un pesce di pailettes e un altra una conchiglia. Queen Viv e suo marito sono infatti da tempo sostenitori di Greenpeace e lei ha sempre detto «buy less buy better», compra meno e compra meglio. Da Cedric Charlier è di scena un simpatico ibrido tra l'Arizona e il vocabolario dei cow boy, i disegni Paisley delle bandane e le opere fatte con la penna Bic da Jan Fabre, il pizzo Sangallo che è la cosa più romantica del mondo e i bellissimi tagli asimmetrici del giovane stilista belga. Un gran bel lavoro. L'estrema sintesi della giornata si ha da Au Depart, marchio di bauli e articoli da viaggio nato a Parigi nel 1838, in sonno dal 1976 (anno del fallimento dell'azienda) e ora risvegliato da un gruppo d'investitori orientali che hanno affidato il progetto di rilancio a Gianfranco Maccarone, un rampante ceo di 42 anni. «I bauli sono scatole fatte molto bene e oggi non servono tanto per viaggiare, ma sono oggetti di lusso per la casa» si è detto costruendo un mondo intorno a questa idea: il baule-console del musicista, quello con la playstation, il mobile bar per lui e lo stipo toilette per lei. Accanto dei pazzeschi oggetti da viaggio.

Con la tela logata del 1900 in cotone gommato e serigrafato tessuto jacquard con filo catarifrangente.

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