Politica

"Un monopolio globale Ci vuole una Web-Tax per far pagare il dovuto"

Il senatore Pd chiede che già nella manovra sia posto freno allo strapotere delle «Big Five»

Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del Corriere della Sera
Massimo Mucchetti, ex vicedirettore del Corriere della Sera

Roma - I nuovi monopolisti del digitale sono più spregiudicati dei vecchi giganti del petrolio che almeno pagavano qualcosa ai paesi produttori. Google e Facebook si appropriano dei dati personali, il nuovo petrolio, senza riconoscere un euro ai titolari. Massimo Mucchetti, senatore Pd, è l'autore dell'emendamento alla Legge di Bilancio che introduce la Web Tax. Una tassa da difendere, spiega. Inutile aspettare ancora l'Europa o l'Ocse, «serve un'iniziativa nazionale». E l'Italia può fare da battistrada. C'è il precedente di Enrico Mattei.

Ma non mancano le critiche. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, ad esempio, è scettico...

«Boccia parla di interventi di Confindustria in Europa per ripristinare l'equità fiscale sulle imprese, digitali e non. Sarei felice di conoscerli. Intanto, gli consiglio di rileggere con altro spirito l'emendamento. Diversamente corre il rischio di usare le Pmi italiane come scudi umani per proteggere Google e compagnia. La Francia si sta muovendo nella stessa nostra direzione. E non sarà la sola. Il Regno Unito ha già varato la Diverted profit tax e ora sottopone a consultazione pubblica la web tax».

Non staremo violando gli accordi sulla doppia imposizione?

«È un argomento meno forte di ieri, data la più recente giurisprudenza europea, che ammette iniziative nazionali a scopo antielusivo».

Applicando una tassa sulle attività web non si penalizzano anche le imprese italiane?

«Per le imprese web italiane e per le stabili organizzazioni in Italia delle multinazionali digitali, la web tax genera un credito di imposta di pari importo che può essere compensato con l'utile di impresa, l'Irap, le ritenute fiscali sui compensi per prestazioni di terzi, i versamenti contributivi e i premi Inail. Le imprese clienti nulla devono al fisco».

Quindi una start up del web che non fa profitti o fattura poco non sarebbe colpita?

«Fino a 50 mila euro di fatturato tutte le imprese sono esenti. Se fatturano di più, avranno abbastanza oneri fiscali e contributivi per compensare. Non piace? Si torni allora al mio testo iniziale che esentava dalla web tax le transazioni tra soggetti che producono redditi di impresa in Italia. Allo stesso modo, se la Camera volesse tornare ad applicare l'imposta dal primo luglio 2018, se la veda con il governo».

La web tax è compatibile con Industria 4.0?

«Con industria 4.0 si incentivano gli investimenti in meccatronica e software che non fanno parte delle attività su cui si applicherà la web tax».

Come risponde a chi dice che a pagare la web tax alla fine sarà il consumatore?

«Un falso argomento. Tutte le imposte indirette possono essere traslate a valle. Se un ristorante paga 400 euro per andare su Google, la banca o la società di carte di credito tratterà 24 euro per versarli all'erario e darà al motore di ricerca 376 euro. Google potrebbe rivalersi aumentando a 424 euro il costo del servizio. Ma se in un anno il ristorante non riesce a recuperare 24 euro ha problemi più seri che non la web tax. Poiché l'impatto sui costi è questo, non capisco certe reazioni di chi, in Parlamento, tollera accise e imposte ben più rilevanti, per esempio, sull'energia».

Resta il fatto che i grandi gruppi del digitale possono scaricare i costi sui consumatori senza temere ripercussioni?

«È più facile farlo se si opera in monopolio. A questo proposito l'intervista di Marina Berlusconi alla Stampa è assai interessante. Ha ripreso, con riferimento alle attività editoriali, le preoccupazioni che più in generale sono alla base dell'emendamento. Le sette sorelle del petrolio, prototipo dei vecchi monopolisti, riconoscevano royalties ai paesi produttori. Grazie a quel grande italiano che fu Enrico Mattei, i produttori ebbero di più. I nuovi monopolisti usano i dati, che, dice l'Economist, sono il petrolio del terzo millennio, senza nulla riconoscere a chi li detiene, cioè a tutti noi».

Perché la tassa non è stata estesa all'e-commerce?

«È stata una scelta. Il commercio elettronico ha caratteristiche sue. Il servizio digitale si mescola alla distribuzione fisica. Non ho ancora una soluzione. Se altri ce l'hanno, ben venga. Ma il meglio è nemico del bene: il nostro è solo un primo passo».

Non sarebbe stato meglio aspettare l'Ocse o la Commissione europea?

«Le iniziative nazionali aiutano a formare il consenso per soluzioni condivise. Sono 10 anni che l'Ocse produce solo studi, alcuni interessanti, ma non decide. Anche Bruxelles fatica a deliberare. In materia fiscale serve l'unanimità e alcuni Stati - Irlanda, Lussemburgo in primis - non la vogliono, rinviando sempre ad accordi internazionali.

È la stessa linea di Google e soci, novelli Bertoldo che dicono di accettare la condanna ma vogliono scegliersi la pianta alla quale essere impiccati, con il malcelato intento di scegliersi una zucca».

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