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Montecarlo, le bugie di Fini E adesso parla il superteste

Gli inquirenti smontano anche le giustificazioni in tv di Gianfry. Ascoltato l'uomo che ristrutturò la casa

Montecarlo, le bugie di Fini E adesso parla il superteste

Roma Nessuna nuova, buona nuova. Il vecchio adagio non deve suonare familiare a Gianfranco Fini, visto che lui di «nuove» versioni, giustificazioni e spiegazioni sui rapporti con Francesco Corallo e sulla compravendita offshore della casa di Montecarlo da An al cognato, Giancarlo Tulliani, ne ha date fin troppe.

E non dovevano essere così buone, visto che la notifica dell'avviso di chiusura indagini prelude al rinvio a giudizio dell'ex presidente della Camera, indagato per riciclaggio. La procura di Roma ha ascoltato la sua versione quando l'ha interrogato, ha letto il memoriale depositato, ha ascoltato la sua autodifesa in tv, da Bruno Vespa a Porta a Porta, e quella del suo legale all'Arena di Massimo Giletti. E non si è convinta dell'«assoluta estraneità» che Gianfry si ostina a rivendicare, continuando nella strategia inaugurata a dicembre, quando l'inchiesta su Corallo e Atlantis scoperchiò le maleodoranti verità celate dietro la storia della casa di Montecarlo e lui, di fronte al coinvolgimento del cognato e pure della compagna, si autodefinì «un coglione».

Poi è finito indagato pure lui, il cui ruolo è ritenuto centrale dai magistrati romani, che ritengono che sia stato solo per la parentela con Fini che il re delle slot Corallo avesse intrattenuto rapporti così stretti con i Tullianos, foraggiandoli, finanziando l'acquisto della casa «svenduta» da An, pagando i lavori di ristrutturazione e, per la procura, pure la Ferrari a Giancarlo. Fini però non ha cambiato posizione, e ogni sua parola - compresa l'intervista a Porta a Porta - è ora agli atti. I riscontri fatti dalla procura non sarebbero positivi per l'ex terza carica dello Stato, che aveva attaccato il suo grande accusatore, l'ex amico e collega di partito Amedeo Laboccetta, sostenendo che avesse dichiarato il falso. Su Labocetta, invece, qualche riscontro la procura l'ha trovato. Tra l'altro, accertando la veridicità della «missione monegasca», preparatoria dell'affaire immobiliare, effettuata da Labocetta, Corallo e dal cognato di Fini a maggio del 2008.

Anche le panzane di qualche anno fa, quando Fini si ostinava a dire di non saper nulla e accusava il Giornale di infangarlo, sono cadute un po' alla volta. E potrebbero continuare a sbugiardarlo altri esiti d'indagine ancora non agli atti. Come le dichiarazioni di un «superteste», il costruttore Luciano Garzelli, ascoltato insieme al figlio Stefano dalla polizia monegasca il 27 giugno. I due si occuparono della ristrutturazione dell'appartamento e hanno confermato che a seguire gli aspetti economici era Lady Fini, oltre a ribadire che fu l'ambasciatore italiano a portare Giancarlo dai Garzelli. Da quattro mesi si aspetta quel verbale, che potrebbe contenere altre spiacevoli sorprese per Fini. Agli atti c'è una email spedita da Garzelli all'avvocato Izzo, legale del cognato di Fini, ritrovata a casa di Gianfry ed Elisabetta.

Nella missiva del 19 ottobre 2010, nel pieno dello scandalo di Montecarlo, Garzelli ammoniva l'avvocato di far stare «calmo e tranquillo» Giancarlo Tulliani, ricordandogli di essere in possesso di una telefonata registrata che provava come «il giorno prima un noto personaggio, e non cito il nome che Tulliani mi ha fatto, insieme alla sua sorella non avrebbe potuto dormire nell'appartamento a causa di un problema al parquet poi risolto».

Per Fini e i suoi «mai messo piede a Montecarlo» un'altra bella grana.

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