Politica

Motociclista morto per evitare un incidente Il «pirata» è il pedone

La ragazza attraversò dove non poteva. Così la legge scopre che chi va a piedi può essere pericoloso

Gianpaolo Iacobini

Attraversa la strada e causa la morte di un motociclista: condannata a due anni di carcere e al risarcimento dei danni.

Farà storia, negli annali giudiziari, la vicenda della studentessa di Pistoia che nel maggio del 2015, tentando di tagliare a passo lesto la striscia d'asfalto che cinge la periferia della città, provocò il decesso di Roberto Signore. L'uomo viaggiava a bordo della sua moto, diretto al lavoro. La ragazzina, trasferitasi in Toscana dalla Cina con uno zio e da poco maggiorenne, andava a scuola come ogni mattina. Ma l'improvvisa chiusura della passerella pedonale l'aveva portata a cimentarsi nell'attraversamento a piedi delle carreggiate della Declassata, l'autostrada realizzata durante il Ventennio fascista, poi entrata a far parte del patrimonio comunale e di recente trasformata in statale. Un'arteria trafficatissima. La giovane riesce a schivare alcune auto in transito. Ma quando compie il balzo per saltare le ultime corsie, il suo destino s'incrocia con quello di Signore. Le telecamere di sicurezza catturano la scena: il centauro scorge la studentessa e per evitarla cade rovinosamente. Si spezza l'osso del collo. Morirà dopo dodici giorni di agonia.

Intanto partono le indagini. La Procura non va per il sottile. E la diciottenne cinese viene indagata con l'accusa di omicidio colposo. Mai, o quasi, era accaduto prima: per i Tribunali d'Italia, in genere, il pedone ha sempre ragione. Tanto che a fine 2015 la Corte d'Appello di Roma, ribaltando una sentenza di senso contrario, aveva riconosciuto l'innocenza di un trentacinquenne che uscito ubriaco da un bar era stato investito: lui era stato assolto e rimborsato con mezzo milione di euro. Il suo investitore condannato a qualche mese di galera e a pagare i danni.

Alla base della decisione, un principio giuridico di matrice civilistica, che non manca di far avvertire i suoi effetti anche in ambito penalistico: il concorso di colpa. In sostanza, il comportamento del passante che con la sua indolenza contribuisce al verificarsi di incidenti non scagiona mai completamente il conducente di mezzi a motore che sia coinvolto nel sinistro, poiché tenuto ad adoperarsi per prevenire anche l'altrui negligenza. Ineccepibile in punto di diritto, un po' meno in termini di giustizia sostanziale. Forse pure per questo già nei mesi scorsi l'aria aveva iniziato a cambiare: a Roma lo scorso aprile s'era beccato 4 mesi, per lesioni personali, l'incauto venditore di mozzarelle napoletano che camminando per via Nomentana aveva fatto scivolare un motorino con in sella una donna. E nelle stesse settimane la Procura capitolina aveva vistato il patteggiamento di una signora inglese responsabile del trapasso d'un ingegnere siciliano, di cui aveva cagionato la caduta mortale mentre lei zigzagava a piedi in zona Eur e lui sopraggiungeva col motociclo. Ma il Tribunale di Pistoia è andato ben oltre, sfornando una sentenza pilota, destinata a cambiare le modalità applicative del reato di omicidio colposo, contestato come nel caso affrontato anche al pedone. In effetti, una volta formulata l'imputazione, la Procura si è opposta al patteggiamento. Quindi i giudici della sezione penale hanno condannato la donna a 2 anni di reclusione, subordinando la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento - entro 24 mesi - di 60.000 euro in favore dei familiari della vittima.

Perché a piedi o al volante non fa differenza, quando di mezzo c'è la morte di un innocente.

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