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Napolitano e i raid in Libia Il silenzio del complice rosso

Su pressione di Sarkozy spinse per l'intervento italiano insieme alla Francia. Un danno a Cavaliere e aziende

Napolitano e i raid in Libia Il silenzio del complice rosso

Roma - Ora che una parola sarebbe necessaria ancor più che gradita il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, tace. Eppure in questi mesi e in questi giorni lui, che dopodomani presiederà il nuovo Senato in quanto componente anziano, ha favellato dispensando suggerimenti al suo successore. Ora che Nicolas Sarkozy è gardé à vue lui, che con l'Eliseo ebbe molto più di un abboccamento in quel tragico 2011, non lascia spirare nemmeno un fiato.

Eppure Giorgio Napolitano ebbe un ruolo preponderante nella decisione italiana di supportare la coalizione Nato che eliminò Muhammar Gheddafi sette anni fa facendo piombare l'intera Libia nel caos. Quella stessa Libia che finanziò la campagna presidenziale di Sarkozy. Sui social ieri molti chiedevano all'ex presidente di spiegare, di motivare o, per lo meno, di fornire un dettaglio. Tra questi Francesco Storace che su Twitter ha scritto: «Nessuno che chieda scusa per i bombardamenti in Libia. Tangenti e guerra contro la sovranità nazionale».

Nella biografia del Cavaliere scritta da Alan Friedman è lo stesso Berlusconi a evidenziare che Napolitano «continuava a insistere che dovessimo allinearci con gli altri in Europa», e che quindi la decisione era già presa, facendo pesare il suo ruolo di capo delle Forze armate. Interpretazione confermata al Giornale dall'ex presidente del Senato, Renato Schifani, che sottolineò come a marzo 2011, Napolitano convocò un vertice riservato durante l'intervallo del Nabucco all'Opera di Roma, in cui rappresentò l'ultimatum di Sarkozy sulla partecipazione all'intervento in Libia sotto l'egida della Nato. «L'Italia non può rimanere fuori», disse Napolitano secondo Schifani.

Nel 2016 il presidente Usa, Barack Obama, dichiarò di essersi pentito di quell'operazione cui lo spinsero tanto il segretario di Stato, Hillary Clinton, quanto gli alleati Sarkozy e Cameron (ex premier britannico). Sarkozy «voleva vantarsi di tutti gli aerei abbattuti, nonostante il fatto che avessimo distrutto noi tutte le difese aeree», affermò Obama.

Il riluttante Berlusconi, che aveva firmato un trattato di amicizia con la Libia con il quale si poneva un argine all'immigrazione clandestina, fu costretto a venir meno alla parola e a concedere le basi per i bombardamenti. Napolitano ancor oggi non spiega. Eppure la crisi libica rappresentò il secondo tassello decisivo per completare il puzzle della demolizione del Cavaliere. Il primo fu la scissione di Gianfranco Fini, «sponsorizzata» dal Quirinale per indebolire l'ampia maggioranza del Pdl. Il secondo fu l'utilizzo del ruolo di capo supremo delle Forze armate per costringere il presidente del Consiglio a cambiare, su pressione di Sarkozy, la politica estera sulla Libia danneggiando anche gli interessi delle aziende italiane lì impegnate. Il terzo e decisivo è noto: durante la speculazione anti-italiana sullo spread, l'allora capo dello Stato si accordò all'asse Sarkozy-Merkel per defenestrare il premier e insediare il governo Monti, cioè il «maresciallo Petain» targato Bruxelles. È notorio, infatti, che il Cav fosse restio ad assecondare i diktat di Berlino e di Parigi.

Il silenzio di oggi, forse, vale più di tante parole.

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