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Napolitano rivendica la "sua" guerra

L'ex presidente della Repubblica insiste sull'intervento in Cirenaica, già avallato nel 2011: "Non possiamo tirarci indietro"

Napolitano rivendica la "sua" guerra

Roma«Non possiamo tirarci indietro». Giorgio Napolitano insiste. Quella in Libia è stata la sua guerra nel 2011 e ora che i tamburi tuonano sempre più forte, non vuole rinunciare a mettere il suo bollino anche sul possibile nuovo intervento. Anche se - si capisce - non è più presidente della Repubblica e quindi non può più orientare, bensì auspicare, come un politico della Prima Repubblica.

Il suo fervorino bellico Napolitano lo fa a Palazzo Madama, nella sua veste di senatore a vita che, contrariamente a molti suoi predecessori, sembra prendere molto sul serio. «Da questo mondo così gravido di pericoli - dice con voce vibrante King George - non possiamo scappare, non possiamo evadere. Questo è il nostro dovere». Insomma: «L'Italia deve fare la sua parte». Più o meno le stesse parole con cui nel 2011 Napolitano, allora presidente della Repubblica ancora al suo primo mandato, giustificò le pressioni con cui convinse il premier, un Silvio Berlusconi già indebolito e che di lì a qualche mese sarebbe stato indotto dallo stesso capo dello Stato a lasciare Palazzo Chigi, a dare il via libera alla partecipazione italiana all'intervento militare internazionale nella Libia che si stava ribellando a Gheddafi.

Malgrado quell'intervento delle forze Nato, apparentemente efficace, sia oggi considerato universalmente il presupposto dell'attuale anarchia libica, Napolitano non lo rinnega, anzi si esalta: bene, bravi, bis. Certo, anche lui è persuaso che non tutto andò bene nel 2011. Ma l'errore secondo lui non fu nell'intervento militare occidentale nel territorio del nostro dirimpettaio mediterraneo, bensì la successiva gestione della vicenda: «La legittimazione internazionale non esclude che si possano commettere errori e l'errore più grande è stato il disimpegno dell'Ue nella fase successiva a Gheddafi».

Poi Napolitano ricostruisce quanto accadde nel 2011, sottovalutando il suo ruolo di «presidente del consiglio supremo di difesa, che pure non è un organo decisionale» e facendo una chiamata generale di correità per l'intervento militare in Libia. «Fu un'azione - spiega - decisa in comune, fu una comune assunzione di responsabilità, incentrata su chi nel nostro sistema costituzionale aveva e ha la responsabilità delle decisioni in materia di politica estera e di difesa, cioè il governo. Vorrei però ricordare che ci fu un amplissimo consenso parlamentare con la risoluzione approvata il giorno 18 marzo dalle assemblee della Camera e del Senato, che fu qualcosa di molto significativo e importante». Quindi quelle sulla partecipazione dell'Italia all'intervento Nato del 2011 sono «polemiche gratuite» che dimenticano «che fu proprio l'Italia ad adoperarsi perché l'operazione, iniziata estemporaneamente da Francia e Regno Unito, rientrasse interamente nel quadro di gestione politica e militare dell'Alleanza atlantica».

Interessante il punto di vista di Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista: «Napolitano continua a sbagliare nonostante non sia più presidente della Repubblica. La sua difesa della guerra contro la Libia del 2011 è segno solo di come Napolitano non tragga alcun insegnamento dagli errori compiuti. È infatti evidente che la guerra del 2011 fu un errore grave e ha preparato l'attuale disastro in cui in Libia non esiste più uno stato ma una guerra per bande dove vige la legge del più forte.

Le guerre umanitarie e per scopi democratici sono state all'origine della nascita e della crescita dell'Isis: Irak, Libia, Siria».

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