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Ncd è già un partito virtuale e nessuno vuole i suoi esuli

Gli alfaniani non esistono più. I ribelli reclamano spazi, ma né il Pd né Fi li raccolgono. E Angelino ha trattato la salvezza soltanto per sé: governatore di Sicilia dopo Crocetta

Ncd è già un partito virtuale e nessuno vuole i suoi esuli

Se ne scrive in abbondanza. Si intervistano leader ed esponenti di punta, dissidenti interni e perfino ex. E gli istituti di ricerca continuano a darne conto nei sondaggi, a testimonianza del lento e inesorabile declino. Un gigantesco accanimento terapeutico, perché Ncd è già morto. Non da oggi o da domani, quando - come ammetteva ieri Renato Schifani - alcuni senatori del Nuovo centrodestra «non voteranno» il ddl Boschi sulle riforme. Ma ormai da settimane, da quando il gruppetto di circa quindici parlamentari che è in guerra con Angelino Alfano per la sua «gestione personalistica e utilitaristica del partito» ha capito che non esiste alcun mercato fuori dai recinti di Ncd. Niente porte aperte, perché nessun partito è interessato a farsi carico della diaspora alfaniana. Neanche in nome delle tanto celebrate riforme, visto che se Matteo Renzi deve raccattare qualche voto in più al Senato preferisce concentrarsi sull'Ala di Denis Verdini o su qualche scontento di M5S e gruppo misto, preferibilmente toscani che ci si capisce meglio. Eppoi c'è sempre la minoranza dem, soprattutto alla luce dei segnali distensivi che arrivano da un pasdaran come Vannino Chiti che ieri lodava l'apertura di Giorgio Tonini sulle riforme ipotizzando una «posizione unitaria» del Pd. E tappeti rossi non ne stende neanche Forza Italia, dove gli spazi sono ormai stretti e già il ritorno di Nunzia De Girolamo ha creato qualche malumore. Ma l'ex ministro, si sa, è sempre rimasta in stretto contatto con Silvio Berlusconi e un'eccezione si può fare. Impensabile, invece, che l'ex premier si possa far carico degli altri pentiti di Ncd, neanche in nome di uno sgambetto a Renzi sulle riforme. Soprattutto se i fuoriusciti chiedono la garanzia di un seggio al prossimo giro, che sia nel 2018 o prima.

Insomma, ha ragione De Girolamo quando dice che nel suo ex partito «sono in tanti quelli pronti ad andarsene». Il problema è che non sanno dove. Sono uniti da un'ormai insopprimibile insofferenza per Alfano, ritenuto - a torto o a ragione - responsabile di aver sacrificato il partito in nome della sua poltrona da ministro dell'Interno. Lui - dicono i detrattori - il posto se lo sarebbe fatto garantire. E se Renzi avesse problemi a dargli un seggio in Parlamento, i due sarebbero già d'accordo per portare Angelino sulla poltrona di governatore della Sicilia che è oggi di Rosario Crocetta. A parte Alfano, però, certezze non ce ne sono per nessuno. D'altra parte, qualsiasi promessa di modifica dell' Italicum o qualunque trattativa sui posti in lista venisse fatta oggi, domani rischierebbe di lasciare il tempo che trova.

Per la diaspora alfaniana, insomma, i margini di manovra sono vicini allo zero. Come per Ncd. Che oltre ai noti problemi di cui sopra, ne ha un altro decisamente più serio: il fatto che Renzi gioca nel suo stesso campo, puntando su quell'area moderata che si riconosce nel centro o in un centrodestra non urlato.

Esattamente l'elettorato a cui avrebbe dovuto parlare Ncd.

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