Guerra in Israele

Nelle mani di Hamas oltre cento ostaggi. "In casa e nei tunnel". Molti sono stranieri

Cento ostaggi. Forse qualcuno in più. Secondo qualcuno addirittura centosettanta. Cento e più vite israeliane catturate nel corso dell'operazione "Diluvio al-Aqsa" e ora nelle mani di Hamas

Nelle mani di Hamas oltre cento ostaggi. "In casa e nei tunnel". Molti sono stranieri

Ascolta ora: "Nelle mani di Hamas oltre cento ostaggi. "In casa e nei tunnel". Molti sono stranieri"

Nelle mani di Hamas oltre cento ostaggi. "In casa e nei tunnel". Molti sono stranieri

00:00 / 00:00
100 %

Cento ostaggi. Forse qualcuno in più. Secondo qualcuno addirittura centosettanta. Cento e più vite israeliane catturate nel corso dell'operazione «Diluvio al-Aqsa» e ora nelle mani di Hamas. Soldati, civili, anziani, donne, bambini. Molti feriti. Tutti certamente impauriti e angosciati. Alcuni potrebbero avere un nome e un volto, grazie alle foto diffuse dai familiari, con tanto di numero di telefono. Sono i dispersi, per i quali l'alternativa è la morte o la prigionia.

Sono loro il tesoro di cui dispone ora l'organizzazione paramilitare, sunnita e fondamentalista. In una parola: terroristica. Così la considerano Israele, gli Stati Uniti, l'Unione Europea. Cento vite che contano più delle tante morti. Perché i morti si piangono e al massimo si vendicano, ma i vivi vanno salvati a tutti i costi, e certamente Hamas sfrutterà quelli che non vuole si chiamino «ostaggi», bensì «prigionieri di guerra», per ottenere tanto. A un certo punto di questa domenica di ansie e dolore si era sparsa la voce che Gerusalemme avesse chiesto la mediazione dell'Egitto per trattare sulla salvezza dei prigionieri. Ma poco dopo è arrivata la smentita. «Israele non sta conducendo alcun negoziato con Hamas tramite l'Egitto», ha scritto il sito di Times of Israel citando fonti governative. Altre fonti ufficiali hanno garantito che «non siamo coinvolti fino a ora in alcuna conversazione, in alcun negoziato sugli ostaggi». Irremovibilità oppure bluff? Lo vedremo nelle prossime ore.

Il numero degli ostaggi non è certo. Secondo il governo israeliano sarebbero «almeno cento». I media israeliani allargano quell'«almeno» fino a 170 prigionieri, tra cui anche molti stranieri. Il ministro israeliano degli Affari strategici Ron Dermer alla Cnn parla di ostaggi americani senza rivelarne il numero. Il governo di Berlino è convinto che nelle mani di Hamas ci siano anche tedeschi con doppia nazionalità. La ministra degli Esteri del Messico Alicia Bárcena ha annunciato che due cittadini messicani, un uomo e una donna, sarebbero stati tra gli ostaggi. «Siamo in contatto con le autorità israeliane e con i familiari per fornire follow-up, supporto e assistenza», ha garantito. Si parla anche di francesi nelle mani di Hamas.

Telegram è diventato la Spoon River dei dispersi. Da un lato Hamas lo usa per rivendicare le sue catture, dall'altro le famiglie cercano notizie. In un video si vede la cattura di una donna con due bambini piccoli, in lacrime. Un altro video mostra un soldato israeliano trascinato, picchiato, portato via. Quel che si sa è che gli ostaggi sono custoditi, secondo quanto riferiscono le Brigate al Qassam, l'ala militare di Hamas, nei tunnel dell'organizzazione nella Striscia di Gaza e in «case sicure». Gli israeliani sarebbero nelle mani di tre fazioni armate palestinesi di Gaza: Hamas, Jihad islamica e Brigate dei Martiri di Al Aqsa.

Il governo di Benjamin Netanyahu sembra sospeso tra la volontà di salvare i suoi concittadini e il rifiuto di trattare con i carnefici. Il primo ministro ha chiamato un generale di brigata in pensione, Gal Hirsch, a coordinare le operazioni per i prigionieri e i dispersi. «Tutti i ministeri - ha spiegato l'ufficio del premier - eseguiranno le sue direttive su questo tema». L'esercito israeliano ha istituito una «unità di crisi» dedicata alla raccolta di «informazioni accurate» sugli ostaggi, con a capo il generale Lior Carmeli. L'incarico dell'unità sarà «approntare un quadro situazionale» per localizzare gli ostaggi. Alcune famiglie di questi «hanno già ricevuto messaggi sui loro cari». Molti parenti dei prigionieri, però, sui social ieri si lamentavano con il governo di Gerusalemme. Tra loro Ora Kuperstein, che non ha notizie del nipote Bar (21 anni) che era al lavoro alla festa al confine con la Striscia di Gaza. «Nessuno - ha detto a Canale 12 - ci ha detto nulla. Nessuno ci sta aiutando.

È il caos».

Commenti