Guerra in Israele

Netanyahu punta Rafah: "C'è una data"

Risposta all'estrema destra. Ma Biden spera nella tregua di sei settimane in cambio di 40 rapiti

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Pressato dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale da una parte e dagli alleati di governo dell'estrema destra dall'altra, Benjamin Netanyahu scopre nuove insidie nel cammino verso la «vittoria totale» su Hamas e per la sua sopravvivenza politica. La decisione di ritirare le truppe dal sud della Striscia di Gaza, lasciando un solo battaglione nell'area di Khan Younis, concede qualche nuovo spiraglio alla tregua a Gaza per la liberazione degli ostaggi ma, in attesa di un annuncio, crea forti tensioni all'interno dell'esecutivo e i suoi effetti nuove scintille con gli Usa.

I due «falchi» della guerra, il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, e il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, entrambi ultranazionalisti, temono che la mossa di Netanyahu sia il preludio di un ripensamento sull'attacco a Rafah, osteggiato da Usa e dal mondo e che l'estrema destra israeliana considera invece indispensabile per la vittoria. Ben Gvir è più che esplicito: «Se il primo ministro decidesse di porre fine alla guerra senza un attacco estensivo a Rafah, non avrà il mandato per continuare a servire come premier». Smotrich convoca d'urgenza i membri del suo partito, scrive una durissima lettera al premier, chiede di riunire l'intero Gabinetto di sicurezza, l'unico «autorizzato a prendere decisioni significative in guerra», e accusa Netanyahu di aver ceduto alle pressioni internazionali. Bibi risponde anticipando a stasera la riunione di Gabinetto e facendo sapere che «c'è una data per l'ingresso a Rafah», senza il quale «non c'è vittoria». L'annuncio spiazza Washington, costretta ad ammettere di non essere stata informata e a ribadire il No.

La mossa del primo ministro israeliano di ritirare le truppe dal sud della Striscia risponde al pressing dell'Amministrazione Biden per una de-escalation che tuteli i civili, molti dei quali si sono messi in movimento da Rafah proprio verso Khan Younis nelle scorse ore. È anche un modo per prepararsi alle annunciate ritorsioni iraniane e al surriscaldarsi del fronte nord, dal quale i filo-iraniani Hezbollah sono pronti ad aumentare gli attacchi, e potrebbe rappresentare la strategia per arrivare a un nuovo cessate il fuoco temporaneo. Israele e Hamas smentiscono l'ottimismo fra i mediatori qatarini ed egiziani, mentre gli Stati Uniti annunciano di attendere una risposta su tregua e ostaggi dal gruppo estremista. Il direttore della Cia William Burns, secondo fonti arabe, avrebbe proposto di fermare tutti i combattimenti durante l'Eid al-Fitr, la festa di fine Ramadan, oggi o domani, per 6 settimane di tregua, 40 ostaggi liberi, il ritorno degli sfollati palestinesi nel nord di Gaza, ma nessun cessate il fuoco permanente. Un accordo «complicato, ma fattibile», spiega il capo dell'opposizione israeliana Yair Lapid nei colloqui con il segretario Usa, Antony Blinken.

Il risultato immediato, per ora, è il risveglio dell'orgoglio dell'estrema destra israeliana e il pressing dell'opinione pubblica e delle famiglie dei rapiti esasperate, che in 50mila fuori dalla Knesset chiedono le dimissioni di Netanyahu. Il ministro della Difesa Gallant sostiene sia un buon momento per il rilascio degli ostaggi ma che richiederà «decisioni difficili».

Parecchio difficili, anche perché due nuovi sondaggi confermano che il partito di Benny Gantz, oggi nel Gabinetto di guerra, ma principale rivale di «Bibi», otterrebbe 30-32 seggi contro i 19-21 del Likud, il partito del premier.

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