Politica

Il «no» alla cittadinanza primo passo del patto Lega-M5s

Salvini ha lanciato l'amo e Fico ha risposto picche. Ma sullo ius soli sono dalla stessa parte

Il «no» alla cittadinanza primo passo del patto Lega-M5s

Hanno trovato compagnia sulla barricata dello ius soli. I leghisti sono partiti prima, i grillini sono arrivati anni dopo, amati dal popolo, apparentemente isolati tra i rappresentanti del popolo. Almeno fino a mercoledì, alla battaglia al Senato, quando «sudore e sangue» della politica si sono mischiati. Hanno condiviso il cappio in aula e la ghigliottina mediatica sulla Rete, hashtag e cartelli indignati, assalti ai banchi dei governi, appostamenti agli uffici di presidenza, arrampicate sui tetti del Parlamento, scalate ai campanili simbolo del Paese. Indossano le stesse cravatte sbagliate. Hanno esponenti di spicco molto cattolici come Irene Pivetti e il francescano Alessandro Di Battista, hanno leader barbuti come Beppe Grillo e Matteo Salvini e delfini barbuti pronti a scavalcare padri nobili.

Ieri lo stesso Salvini con Umberto Bossi, oggi Davide Casaleggio con Grillo. Hanno avuto un ideologo come Gianfranco Miglio, quando sembrava che delle ideologie non si potesse ancora fare a meno. E quando il Muro era già crollato da un pezzo pure i grillini avevano il loro professore, Paolo Becchi, genovese e sampdoriano come Grillo. Si sono sbarazzati di entrambi. Ora condividono la stessa testa pensante, Diego Fusaro, il tele-filosofo preferito da Lega e 5 Stelle. «Grillo va a Pontida - commenta su Facebook Matteo Renzi - e nessuno fra gli intellettuali dice niente».

Nel giorno della battaglia sullo ius soli Salvini ha fatto il passo più deciso: «A parole il M5s ha fatto passi avanti. Ora deve passare dalle parole ai fatti, sostenere ai ballottaggi i candidati del centrodestra e mandare a casa i sindaci del Pd». Il giorno dopo non saranno le precisazioni a fare la differenza, ma ancora quei punti di contatto che sovrappongono le idee leghiste a quelle grilline, e viceversa. «La nostra alleanza naturale è nel centrodestra, ma Grillo è il benvenuto», ribadisce Salvini. Risponde Roberto Fico, l'ala dura del grillismo: «Caro Salvini, vorrei rincuorarti sul fatto che tra il M5s e la Lega, tra Beppe e te, la distanza di visioni, idee e contenuti è siderale. Specie sulla questione migratoria». È una guerra di parole, ed è indispensabile perché i punti in comune siano molti, ma non troppi, perché attiri dalla tua parte gli indecisi, li convinci con le sfumature. Sulla barricata devono salire personaggi facili da ricordare, nelle loro diversità e nei loro tratti comuni. In 1992, la prima serie televisiva di Sky mandata in onda un anno fa, il prototipo del leghista si chiama Pietro Bosco, nella finzione tv è l'uomo che sventola il cappio in tv, ha fatto il militare probabilmente in Medio Oriente, è stato cacciato dall'esercito, non ha più arte né parte, viene imbarcato dal Carroccio, combina un sacco di pasticci, si adegua e finisce nella commissione di vigilanza Rai. Venticinque anni dopo, nella realtà, un grillino su due prega che non vengano sciolte le Camere perché non ha una professione alla quale tornare. Il duro Fico le ha provate un po' tutte, a Napoli, la sua città, ha pure venduto tappeti. Ora è presidente della commissione di Vigilanza Rai. I leghisti sono partiti prima, i grillini sono arrivati dopo, a parole si combattono da anni, si sono inseguiti, annusati, smarcati. Sono arrivati davanti alla stessa barricata, quella dello ius soli. Ci sono saliti, per farsi compagnia, in quei Palazzi dove stanno i cittadini scelti dal popolo.

Sperando che il popolo continui a capirli.

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