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Il nome alternativo? Nicky Morgan: giovane, diplomatica e europeista

Tra liti che spaccano il partito e un'Europa che non mollerà solo un nome nuovo può cambiare qualcosa. Ma bisogna fare presto

Il nome alternativo? Nicky Morgan: giovane, diplomatica e europeista

Londra Le voci riguardanti la caduta di Theresa May si rincorrono da qualche settimana, prima solo sussurrate poi via via sempre più sfacciate e insistenti a mano a mano che il primo ministro ha perso credibilità politica e autorità. I colloqui di ieri tenutisi nella residenza governativa di Chequers sono solo la parte finale di un processo destitutivo che viene da lontano. E alcuni dei possibili contendenti alla successione alla guida del governo hanno avuto molto tempo per valutare l'opportunità di scendere in campo.

I conservatori hanno bisogno di un leader che riesca a unire le due anime del partito per sostenere una via d'uscita al processo di Brexit. Da più parti Nicky Morgan viene indicata come una della possibili soluzioni post May. Ministro dell'istuzione durante il governo Cameron, è stata una ardente sostenitrice del remain durante la campagna referendaria del 2016. Ha tuttavia dimostrato di riuscire a costruire un dialogo tra le diverse anime del partito ed è stata protagonista di una degli ultimi tentativi di costruire un fronte conservatore comune, il compromesso Malthouse (per una soluzione alternativa, ma poco realistica, alla clausola di backstop).

«Penso che abbia il sostegno di un'ampia fetta del partito», ha affermato un ministro: «Nicky adesso è in una posizione molto interessante, ha dimostrato di essere molto capace di raggiungere un punto di incrocio e guadagnare la fiducia delle persone». Posizione molto interessante forse vuol dire che la 46enne londinese, ex avvocato della City, è sacrificabile politicamente. Tra liti interni che rischiano di spaccare il partito conservatore e un'Ue che non arretrerà di un millimetro dalle condizioni concordate con May, il compito che attenderà il primo ministro rischia di bruciare chiunque raccoglierà la sfida. É forse anche per questo che i leader mediatici e politici dei falchi conservatori della Brexit, Boris Johnson e Jacob Rees-Mogg, sembrano farsi da parte e non partecipare alla corsa. Entrambi sono stati ricevuti ieri dalla May per discutere del futuro del governo. Non sosterranno il piano May in un eventuale terzo passaggio parlamentare, ma sanno che le loro preferenze per un'uscita senza accordo non hanno il favore dei numeri. In altre parole, non è il momento di impegnarsi in una battaglia che, combattuta in un ruolo di prima di linea, non hanno la possibilità di vincere.

Meglio agire nelle retrovie, come hanno fatto con successo finora. Un'altra figura che è stata tirata in ballo in queste ore è David Lidington, il numero 2 di Theresa May nella compagine di governo. Fedele alleato della premier, ne ha condiviso la strategia e le battaglie. Altro esponente dell'ala pro remain, sarebbe una soluzione vista con favore da parte del gabinetto e avrebbe il ruolo di un leader temporaneo, affiancato magari da un esponente più gradito ai brexiteers quale Michael Gove, l'attuale ministro dell'ambiente.

Pezzo da novanta del partito conservatore, Gove è un caso scuola di come si stiano muovendo i leader del partito: favorevole all'uscita dall'Ue non si è tuttavia mai dimesso dal governo, come altri suoi colleghi hanno invece fatto a più riprese. Rimasto sempre a fianco di Theresa May si sta ritagliando uno spazio autonomo all'interno della politica inglese ma senza compromettersi eccessivamente con il caos Brexit. Anche per lui è improbabile un futuro immediato a Downing Street. Nomi, face, storie. Tuttavia, oltre che un nuovo leader, il partito conservatore e il Regno Unito necessitano di una strategia per uscire dalle sabbie mobili in cui è sprofondato il Paese.

Mancano 18 giorni.

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