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"Non conoscono la politica estera"

L'ex ministro Giulio Terzi di Sant'Agata: "Governo troppo impegnato in beghe da cortile"

"Non conoscono la politica estera"

Silenzio. O dichiarazioni generiche. «Da anime belle che non sanno cosa sia la politica estera», graffia Giulio Terzi di Sant'Agata, ministro degli Esteri nel governo Monti dopo una lunga carriera diplomatica ad altissimo livello. «I nostri leader, a cominciare da Di Maio, sono tropo impegnati nelle beghe del cortile italiano e non si rendono conto o, peggio, non vogliono capire cosa sta avvenendo fuori».

Viviamo giorni convulsi: è in arrivo una nuova guerra?

«Cominciamo col dire che gli iraniani sono calcolatori. Messianici, ma calcolatori. Erano convinti che gli americani non avrebbero reagito e continuavano ad alzare la posta, in una continua escalation. Invece la risposta è arrivata».

Una risposta appropriata?

«Direi di sì. Non c'erano molte altre scelte. L'Iran è uno stato terrorista e parallelamente solo negli ultimi 15 giorni la repressione interna, durissima, ha fatto 1500 morti».

Un'ecatombe.

«È incredibile, ma solo l'Italia, a partire da Renzi e Gentiloni, ha fatto finto di non vedere questa realtà sanguinaria e fanatica che mette a rischio la pace globale. Noi siamo arrivati, in un mix nefasto di buonismo e approssimazione, a tenere manovre congiunte della nostra Marina militare con quella di Teheran. Sono cose da non credere, è imbarazzante la faciloneria con cui ci siamo confrontati con un Paese che sta sviluppando un piano atomico clandestino ed è a un passo dalla bomba nucleare. Del resto, negli ultimi mesi siamo riusciti a spalleggiare contro ogni evidenza e contro i nostri stessi interessi il regime dispotico di Maduro in Venezuela».

Dopo la morte di Soleimani qualcosa è cambiato?

«Purtroppo no. Di Maio dà la caccia agli onorevoli che non pagano le quote, Conte pensa al suo futuro, la Farnesina, nemmeno il ministro, ha partorito un comunicato anodino buono per tutte le stagioni in cui si discetta di preoccupazione per la spirale degli avvenimenti».

Ma nemmeno una parola sulle responsabilità dell'Iran.

«Esatto. Nulla di nulla. Come se non avessimo chiari quali sono i nostri alleati e i nostri punti di riferimento. C'è un'inadeguatezza di fondo cui dobbiamo assolutamente porre rimedio».

Ma come si fa?

«Al vertice della Nato che si è chiuso poche ore fa a Bruxelles europei e americani hanno ritrovato coesione e unità. Nessuno ha attaccato gli Usa, molti Paesi hanno sottolineato le gravissime colpe dell'Iran. Ecco dobbiamo ritrovare, pur fra asprezze e sgambetti, un gioco di sponda con Parigi, con Londra, se possibile con Berlino. Dobbiamo smetterla di muoverci con iniziative unilaterali e improvvisate».

Meno parole, più fatti?

«Abbiamo soldati e intelligence di altissimo livello, ma quasi ce ne vergogniamo. E tutti lo sanno, mentre i rapporti di forza maturano sul campo».

In Libia?

«In Libia ormai gli attori sono Putin ed Erdogan».

Siamo rimasti a guardare?

«Abbiamo fornito un ospedale da campo a Misurata e abbiamo smesso di tessere le nostre trame».

Una rinuncia?

«Si, ma dobbiamo riprendere un piano comune con i grandi Paesi europei per stabilizzare la Libia, cercando di fissare alcuni paletti fondamentali. Ad esempio la gestione dei flussi migratori».

Come finirà a Tripoli?

«Credo che arriveremo a congelare il conflitto, una tecnica nella quale Putin è maestro, dalla Siria all'Ucraina».

E a Teheran che cosa succederà?

«Il regime ci penserà cento volte prima di sfidare ancora gli Usa».

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