Politica

Nove italiani su 10 criticano le toghe in politica

Il 47% degli intervistati è contrario, mentre il 44% chiede che sia impossibile il ritorno in magistratura

Nove italiani su 10 criticano le toghe in politica

Si discute molto in questi giorni della presenza e del ruolo dei magistrati che decidono di entrare in politica e assumono (o si candidano per) diverse cariche istituzionali, ad esempio quelle parlamentari. Alcuni analisti ritengono al riguardo che sia giusto che i giudici, come tutti gli altri cittadini italiani, possano liberamente decidere di partecipare all'agone politico. Altri, viceversa, reputano che questo non sia opportuno, dato il particolare ruolo, delicato ed importante, che i magistrati svolgono nella nostra società e il potere che questi ultimi ricoprono. E vi è chi, di recente, al fine di evitare pericolose commistioni tra i poteri (quello giudicante e quello legislativo o, in certi casi, esecutivo) ha proposto che sia concesso ai giudici di candidarsi e venire eletti, a patto che essi si dimettano contestualmente dalla magistratura e, specialmente, rinuncino a rientrare, una volta concluso il loro mandato, nei ranghi delle istituzioni giudicanti.

Anche gli elettori italiani nel loro insieme sembrano prediligere una limitazione delle possibilità dei giudici ad entrare nell'ambito politico e, specialmente, per ricoprire cariche all'interno di quest'ultimo. È quanto emerge da un recente sondaggio condotto dall'Istituto Eumetra Monterosa, intervistando un campione rappresentativo della popolazione con più di 17 anni di età.

In particolare, la maggioranza relativa (quasi la metà degli intervistati, 47%) si dichiara contraria in assoluto alla presenza dei giudici in politica. Si tratta di una posizione estrema, che scaturisce certamente anche dalle polemiche ospitate sui media in questi giorni. Non a caso, assumono in misura più accentuata questo orientamento più drastico gli strati demografici e occupazionali meno centrali socialmente, quali gli anziani oltre i 60 anni, i residenti nei centri urbani più piccoli o medi, i pensionati e chi è alla ricerca di una occupazione. Insomma quella che, nella tipologia di italiani messa a punto da Eumetra Monterosa, è stata individuata come l'area della cosiddetta «marginalità». Sul piano degli orientamenti politici, il supporto al divieto incondizionato per i giudici ad entrare in politica proviene in misura maggiore (ma tutt'altro che esclusiva) da chi manifesta l'intenzione di votare per la Lega nord (e anche, sia pure con un'intensità lievemente meno accentuata, dagli elettori di Forza Italia).

Vi è però un altro orientamento, che raggiunge quasi la stessa diffusione di consensi (pari al 44% e quindi inferiore di poco meno del 3% a quello illustrato più sopra) che tende invece ad acconsentire ai giudici di entrare in politica, a patto però che essi si dimettano dal loro ruolo e non possano poi più riaccendere alle loro funzioni. Il profilo sociale di chi assume questa posizione è molto diverso da quello visto in precedenza. Si tratta in questo caso in misura maggiore di giovani (con una accentuazione tra gli studenti), di persone con titolo di studio elevato e di chi esercita professioni più remunerative. In breve, la fascia che Eumetra Monterosa ha definito come quella del «protagonismo». Insomma, ai due pareri espressi sin qui sull'ingresso in politica dei giudici corrispondono tratti sociali quasi opposti fra loro. Con significative differenze anche dal punto di vista dell'orientamento politico. Emerge infatti una più spiccata predilezione per quest'ultima posizione da parte degli elettori del Pd (tra i quali questo orientamento costituisce la maggioranza) e, al tempo stesso, tra i votanti del M5s.

Al di là di queste due diverse opinioni, colpisce il fatto che siano pochissimi, meno di un italiano su dieci, a voler concedere il pieno e incondizionato accesso dei giudici in politica. Si tratta, come si è detto, di una posizione assai severa nei confronti dei magistrati. E si potrà discutere nelle sedi opportune se sia giustificata o meno. Ma essa non può non essere messa in relazione col calo che, per diverse ragioni, negli ultimi anni, ha mostrato la fiducia complessiva nella magistratura. Secondo le stime di Eumetra Monterosa, essa era pari al 49% nel 2012 e oggi si situa attorno al 35%.

Al di là delle opinioni di ciascuno al riguardo, non si può non convenire sul fatto che una tale decrescita di consensi verso una delle principali istituzioni del Paese e uno dei poteri fondanti della democrazia non costituisca un fenomeno grave e su cui riflettere.

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