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Odissea di un imprenditore: batte il Fisco dopo 9 anni

L'Agenzia delle Entrate voleva 300mila euro. Il tribunale ha dato ragione all'azienda di Mestre. "Se avessi pagato subito avrei chiuso"

Odissea di un imprenditore: batte il Fisco dopo 9 anni

La contestazione riguardava il 2005: non evasione fiscale ma «non congruità» rispetto ai parametri degli studi di settore. Senza nemmeno esaminare la contabilità, l'Agenzia delle entrate voleva dalla sua azienda 300mila euro. «Avrei dovuto chiudere», dice Paolo Trovò, imprenditore veneziano titolare della Mestriner Welding srl di Marghera. Nove anni è durato il contenzioso davanti ai giudici tributari. Un'eternità per un'azienda che lotta negli anni della crisi. La sentenza di secondo grado ha dato ragione a Trovò. Sul suo groppone sono rimaste le parcelle legali (40mila euro) e altre spese. Ma l'imprenditore vede il lato positivo: «Mi consolo pensando che ne ho risparmiati 300mila, non ho chiuso e non ho licenziato».

Per ottenere ragione dai giudici del fisco ci sono voluti 9 anni, 5 mesi, 3 settimane, 6 udienze di cui 2 andate deserte per assenza dei relatori, 2 sentenze e 2 appelli. Nella sentenza si legge tra l'altro: «In sede di contraddittorio l'Ufficio delle imposte non ha posto in essere motivazioni che giustifichino l'avviso di accertamento, per cui sussiste una evidente carenza di motivazioni. L'Ufficio ha condotto un esame carente della documentazione per dimostrare la non congruità derivata da studi di settore. La non normalità dei risultati economici non è necessariamente indice di evasione e/o cattiva gestione».

Parole che non lasciano dubbi. L'accertamento era pretestuoso. Se il bilancio della Mestriner Welding (leader in Italia nella produzione di apparecchi per saldatura) si discostava dagli studi di settore, non era per incapacità imprenditoriale o volontà di evadere il fisco, ma per il cattivo andamento del mercato. «Faccio tre milioni e mezzo di fatturato annuo, ho 15 dipendenti, ho sempre pagato le tasse fino all'ultimo centesimo», spiega Trovò che è stato anche presidente dei «piccoli» di Confindustria Veneto.

«Nel 2005 ho avuto un calo di fatturato perché nel mio settore erano arrivati i cinesi - dice -. All'estero avevo perso quote di mercato. L'anno dopo ho recuperato, ma ho ricevuto un accertamento d'ufficio. Gli studi di settore sono una perversione tutta italiana: presumono che il fatturato cresca sempre. Ho prodotto tutta la documentazione aziendale, che il fisco non aveva neppure esaminato perché loro si basano soltanto su numeri teorici. Deduzioni, astrazioni».

Della somma contestata, l'Agenzia delle entrate pretendeva un anticipo immediato di 93.238,80 euro. «Conservo ancora il bollettino: pensavano che potessi andare alle Poste con quasi 100mila euro in contanti». Fosse stato condannato (per non aver versato una somma che non era tenuto a versare), avrebbe dovuto chiudere baracca: la Mestriner Welding non si è mai finanziata in banca ma sempre con soldi propri, perciò non aveva la liquidità per pagare la multa.

Aggiunge Trovò: «Grazie al mio commercialista è stato dimostrato scientificamente che la mia azienda, e anche il sottoscritto, siamo seri, sani, lavoriamo nel rispetto delle regole e adempiamo da sempre e puntualmente tutti i nostri doveri. La sentenza purtroppo non ha previsto il rimborso di tutti i costi sostenuti per complessivi 48.700 euro (che avrei potuto investire in azienda), cui vanno aggiunti lo stress, la continua preoccupazione, la pressione psicologica che ho dovuto subire per 9 anni e che mi hanno costretto a ricorrere alle cure di uno psicoterapeuta causa una profonda crisi depressiva».

Ma c'è un altro risvolto di questa faccenda che indispettisce Trovò: «Le istituzioni da me coinvolte in questi anni, da Confindustria Veneta agli Artigiani di Mestre non mi hanno aiutato. Da Giuseppe Bortolussi mai una telefonata o la risposta a una mail.

Ho dovuto arrangiarmi da solo in una battaglia ostinata contro un'ingiustizia colossale».

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