Politica

Oggi la fiducia sul testo contestato La fronda grillina rientra nei ranghi

Conte ottimista: con la manovra realizziamo l'80% del «contratto»

Laura Cesaretti

Roma Alla fine di una lunga e surreale giornata di tira e molla, sospensioni, rinvii e scontri furibondi nella maggioranza, il ministro ai rapporti con il Parlamento Fraccaro annuncia affannosamente nell'aula di Palazzo Madama che il governo mette la fiducia sul decreto Sicurezza.

Poi però si rinvia di nuovo: il voto sarà solo stamattina. Perché dietro le quinte la tensione tra Lega e Cinque stelle rimane altissima, tanto che a sera i grillini minacciano apertamente: o ci date la prescrizione (in discussione alla Camera) o il decreto tanto caro a Matteo Salvini «correrà rischi». Bailamme totale, quindi. E dire che ieri mattina, dal Ghana, Salvini aveva ostentato massima sicurezza, spingendosi ad annunciare fiero: «Appena atterrato in Italia, tra qualche ora sarò in Aula al Senato, perché oggi ci sarà finalmente, dopo mesi di lavoro, il voto finale sul decreto sicurezza e immigrazione». Niente da fare, invece: l'impasse totale sulla abolizione della prescrizione, voluta dai grillini (e da Davigo) ha provocato la rappresaglia M5s sul decreto. Tanto che nelle file della maggioranza si sparge il panico, e il ministro leghista Centinaio viene costretto a rinunciare al suo viaggio in Cina (pure lui, sì) per essere presente stamani in Senato: «Siamo a rischio sui voti», è l'allarme.

Salvini si vendica immediatamente: da Palazzo Chigi il povero Giuseppe Conte, che non sa più che pesci prendere aveva fatto filtrare, su input di Di Maio in viaggio dalla Cina, che in serata si sarebbe tenuto un vertice tra premier e vicepremier per trovare una via di uscita dal caos che paralizza da giorni il Parlamento e rischia di far implodere la maggioranza. «Ma quale vertice, stasera mi guardo la Champions», è la risposta sprezzante del ministro dell'Interno. «Le cose si possono risolvere anche per telefono», aggiunge. Conte si barcamena: «Non sono il giudice tra Salvini e Di Maio, io sono il garante dell'attuazione del contratto di governo», spiega. Un contratto che, assicura con ottimismo, «con la manovra verrà attuato all'80%» con il via a «reddito di cittadinanza e riforma della Fornero entro i primi mesi del 2019». Sempre che ci si arrivi. Non è più la questione dei cosiddetti «dissidenti» grillini a preoccupare: i quattro senatori che avevano annunciato i propri dubbi sul decreto sono pronti a tenere una linea indolore, uscendo dall'aula: di certo non voteranno contro. Il problema è a monte, nei rapporti tra Lega e M5s arrivati ormai al livello di guardia. E oltretutto alla vigilia del cruciale passaggio della manovra di fine anno. Il voto di fiducia al governo, a inizio legislatura, aveva registrato 170 sì: quanti saranno oggi, se ci si arriverà senza un'intesa?

Intanto il Pd contesta al governo la grammatica istituzionale: Fraccaro è stato spedito a chiedere la fiducia sul decreto, ma non ha saputo rispondere al capogruppo Marcucci che chiedeva quando si fosse tenuto il Consiglio dei ministri che lo ha autorizzato. «Sono questioni endogovernative», è stata la sua bizzarra replica. Fatto sta che non c'era traccia del consueto comunicato ufficiale che Palazzo Chigi emette al termine delle riunioni del governo.

Forza Italia, che era intenzionata a votare sì nel merito del decreto, annuncia che non parteciperà al voto: «Prendiamo atto che il nostro invito al governo di non porre la fiducia non è stato accolto e questo ci impedisce di esprimere un voto favorevole», spiegano.

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