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Olanda, schiaffo ai sovranisti. A Londra Farage è già in festa

Paesi Bassi e Gran Bretagna al voto. All'Aja vincono i socialisti, FvD solo quarto. La May in crisi sotto il 10%

Olanda, schiaffo ai sovranisti. A Londra Farage è già in festa

La corsa per il rinnovo dei 751 seggi dell'Europarlamento è cominciata. Tra ieri e domenica sono chiamati a esprimersi oltre 420 milioni di elettori di 28 Paesi dell'Ue, e mai come stavolta i temi al centro della tornata elettorale, con al centro la sfida dei sovranisti a un'Unione accusata di curarsi più degli interessi dei potentati economici che di quelli delle persone reali, sono sentiti dall'opinione pubblica e vissuti anche con preoccupazione dalle cancellerie. Per paradosso, i primi due Paesi ad aprire ieri i seggi sono tra quelli dove è prevista la maggior spinta degli euroscettici. I cittadini di un Regno Unito sconcertato dalla pessima prova che sta dando di sé il loro governo, e più in generale la loro classe politica, nella gestione dell'uscita dall'Unione europea sembrano intenzionati a premiare il partito pro Brexit e a infliggere ai conservatori della premier Theresa May una scoppola indimenticabile.

Nei Paesi Bassi i sondaggi attribuivano la maggioranza relativa al nuovo partito euroscettico di destra Forum della Democrazia guidato da Thierry Baudet. Ma gli exit poll gelano i sogni sovranisti. In testa c'è il partito del socialista Frans Timmermans, uno degli spitzenkandidaten che aspira a rimpiazzare Jean-Claude Juncker sulla poltrona più ambita d'Europa, quella di presidente della Commissione. Il Pdva di sinistra (S&D) ottiene il 18% dei voti secondo il sondaggio Ipsos. Il partito FvD, nazionale-conservatore e anti-Ue (Ecr) di Baudet, che era previsto per il primo o il secondo posto, è solo in quarta posizione: 3 seggi per i sovranisti con un crollo del partito della Libertà di Wilders che si ferma a un solo seggio. In salita anche i Verdi che guadagnano un seggio. Tengono la seconda e la terza posizione i Popolari del premier Mark Rutte e i liberali.

Nel Regno Unito queste elezioni europee sono uno psicodramma collettivo. Prima di tutto, fino a un mese fa, non era nemmeno previsto che i britannici fossero chiamati alle urne. Sono infatti passati quasi tre anni dal referendum con il quale quegli stessi elettori, sia pure con una maggioranza risicata, avevano scelto di fare uscire il proprio Paese dall'Unione europea. Ma tre anni di discussioni a Londra e di negoziati con Bruxelles non sono stati sufficienti a definire i termini di questa clamorosa uscita. Il governo guidato da Theresa May ha dimostrato tutti i suoi limiti, e in particolare la leadership della numero uno dei Tories ne è uscita a pezzi. Dopo che sono stati bocciate dal Parlamento e dal suo stesso partito tutte le proposte fatte per condurre in porto decentemente l'ormai famigerata Brexit, in queste ore la messa alla porta del numero 10 di Downing Street della May è data ormai per certa. Fonti autorevoli citate dal solitamente affidabile Times anticipano che la premier conservatrice dovrebbe dare le dimissioni proprio oggi, vinta dalla fronda interna che ha assunto ormai dimensioni insopportabili: mercoledì sera ha lasciato il governo anche il ministro dei Rapporti con il Parlamento Andrea Leadsom, 36° titolare di un dicastero ad abbandonare l'esecutivo, e addirittura il 21° a farlo per dissensi con la premier sulla gestione della Brexit. La May potrebbe restare in sella dieci giorni giusto per ricevere a Londra il presidente americano Donald Trump.

In queste surreali elezioni europee nel Regno Unito (i 73 eletti britannici a Bruxelles dovrebbero dimettersi tra pochi mesi), dovrebbe quindi essere l'istrionico leader nazionalista Nigel Farage a uscire vincitore: gli ultimi sondaggi indicano il suo Brexit Party in largo vantaggio al 37%, seguito a distanza al 19% dal solo partito che ha sostenuto apertamente le ragioni di chi vuole che Londra rimanga nella Ue, i liberaldemocratici.

Previsioni umilianti per i conservatori, dati addirittura al 7%, ma anche per i laburisti, il cui ambizioso leader della vecchia sinistra marxista Jeremy Corbyn non è stato capace di decidersi tra le invincibili pulsioni antieuropee e un più logico e coerente sostegno al «remain»: il Labour, dato vincente in caso di elezioni politiche nazionali, è così fermo a uno sconcertante 13%.

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