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Ora anche il governo fa i conti con la crisi: sempre più disoccupati

Nel Def la quota di senza lavoro sale all'11% Il reddito di cittadinanza non produce effetti

Ora anche il governo fa i conti con la crisi: sempre più disoccupati

Tanta spesa, zero risultati. Il Def 2019 certifica il fallimento delle due misure cardine del governo gialloverde: reddito di cittadinanza e quota 100. L'effetto negativo (sulle finanze pubbliche) non viene certificato esclusivamente dalla previsione di crescita del Pil, ormai ridotta allo 0,1%, aumentato di un altro decimale da Sblocca cantieri e dl Crescita, ma soprattutto dalle tabelle relative alla progressione del tasso di disoccupazione. Dal 10,6% del 2018, infatti, si passa all'11% quest'anno e all'11,1% nel 2020 per tornare al 10,7% nei dodici mesi successivi. Anche considerando gli effetti del sussidio grillino il quadro resta sostanzialmente immutato perché si passa al 10,5% con la promessa di un mirabolante 9,6% nel 2020. Stesso andamento per il tasso di occupazione che nel 2019 è visto in leggero calo (-0,1%).

Non è una sorpresa in senso stretto. Il reddito di cittadinanza, spingendo oltre 1,5 milioni di persone, a dichiarare di non avere un lavoro e ad attivarsi per trovarlo, fa aumentare la disoccupazione prelevando dal bacino degli inattivi. Quello che non era previsto è il risultato modesto. Nel Def si scrive, infatti, che il tasso di occupazione nel 2022, «risulterebbe maggiore di 1,1 punti percentuali rispetto ai livelli dello scenario base, con un numero maggiore di occupati pari a circa 260mila unità», cifra definita «troppo ottimistica» in una nota a piè di pagina poiché anche i posti liberati da quota 100 potrebbero non essere integralmente coperti.

C'è, però, un'altra conseguenza sgradevole. «Un aumento esogeno della partecipazione al mercato del lavoro induce una riduzione delle retribuzioni medie», come confermato dalle proiezioni per i prossimi tre anni. Il documento stilato dal ministro dell'Economia Tria e dai suoi tecnici mette nero su bianco che l'aumento della partecipazione al mercato del lavoro, a partire dal terzo anno, potrebbe causare una diminuzione dei salari. L'offerta di lavoro in eccesso sul mercato si riassorbe facendone diminuire il prezzo, soprattutto se, come in questo caso, si tratta di manodopera poco qualificata. Il documento non manca di notare come questa tendenza si manifesti nonostante la fissazione di una «soglia minima di retribuzione, pari a 858 euro affinché una proposta di lavoro sia da ritenere congrua». Terza conseguenza ancor più devastante delle prime due: la produttività calerà. Un aumento dell'occupazione a fronte di una crescita programmata comunque modesta (nel triennio 2020-2022 il Pil è visto aumentare dello 0,8% per anno) significa che il prodotto per occupato diminuirà. Dunque quest'anno si è fatto deficit al 2,4% del Pil per produrre questi effetti, nel triennio 2019-2022 si è aumentata la spesa per il welfare di 133 miliardi per conseguire un risultato esiguo.

«L'Iva non aumenta, non ci sono tasse sulla casa e non ci sono tasse sui risparmi», ha detto ieri Salvini dopo il vertice di governo con Conte e Di Maio. Le risorse per nuove iniziative come le flat tax e per sterilizzare le clausole di salvaguardia verranno «dalla crescita, perché siamo convinti che siamo uno dei Paesi migliori al mondo».

Come Salvini anche noi siamo condannati all'ottimismo.

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