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Ora Bruxelles celebra i diritti dell'uomo con un inno al velo

Il servizio diplomatico Ue ricorda l'evento usando una donna con il copricapo islamico

Ora Bruxelles celebra  i diritti dell'uomo con un inno al velo

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In diplomazia i messaggi che si sceglie di veicolare per comunicare all'esterno di solito corrispondono al meglio che una nazione o un'entità sovranazionale possa offrire per promuovere la propria immagine. Un concetto che non deve essere ben chiaro alle istituzioni europee a giudicare dall'ultima campagna comunicativa realizzata dal Servizio Diplomatico dell'Ue per celebrare il recente settantacinquesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

L'Eeas (European External Action Service) diretta da Josep Borrell ha infatti promosso una campagna social invitando «i giovani di tutto il mondo a onorare questa giornata storica» utilizzando una grafica per promuovere l'hashtag #OurVoiceOurFuture. Peccato che nell'immagine in questione spicchi una donna con il velo islamico, non proprio un simbolo di rispetto dei diritti umani a giudicare dalla condizione di migliaia di donne in tutto il mondo spesso costrette a indossare il velo.

Eppure l'anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo è solo l'ultima occasione in ordine di tempo in cui nelle comunicazioni istituzionali dell'Ue compaiono donne con il velo. Di recente, in occasione della quinta edizione della gioventù europea, i profili del Parlamento Ue hanno pubblicizzato l'evento sui social con foto e video in cui si vedevano ragazze con l'hijab o l'abaya, veste lunga tradizionale di alcuni paesi islamici. Come dimenticare poi la campagna per la Conferenza sul Futuro dell'Europa, un'iniziativa dalla durata di un anno per immaginare il futuro delle istituzioni europee promossa con alcune donne velate.

L'eurodeputata della Lega Silvia Sardone non usa giri di parole per definire la campagna europea e parla di una «deriva imbarazzante»: «trovo semplicemente indegno che mentre le donne iraniane lottano, rischiando la morte, per avere la libertà di non doversi sottomettere all'uso del velo islamico, l'Ue continua a sostenere un modello di oppressione delle donne. Con che coraggio le istituzioni europee esprimono vicinanza alle donne che combattono per i propri diritti e poi continuano a finanziare iniziative di comunicazione che dipingono il velo islamico come strumento di integrazione nel nostro continente».

La Sardone continua: «è questo il modo in cui l'Europa ricorda le tante ragazze, come la povera Saman, uccise perché volevano vivere libere di vestirsi all'occidentale o di avere frequentazioni non imposte? Continueremo a opporci contro questa imbarazzante deriva e contro questo messaggio sbagliato che smonta le battaglie di moltissime donne musulmane in moltissime aree del mondo».

Come se già non bastasse il contenuto ideologico della campagna promozionale della diplomazia europea, la grafica è corredata anche dalla bandiera «Lgbtqi», non il vessillo arcobaleno ma la sua evoluzione «più inclusiva».

Nel sito dell'Ue, presentando l'iniziativa ai giovani di tutto il mondo, si legge: «Avete un ruolo cruciale da svolgere nella salvaguardia di questi diritti universali. E per garantire che siano rispettati e sostenuti nelle vostre comunità, nei vostri Paesi e a livello globale. In quanto artefici del cambiamento di oggi e leader e politici di domani, spetta a voi creare un mondo che rispetti e valorizzi la dignità e il valore di ogni individuo».

Una campagna che «merita di essere celebrata, ricordata e, soprattutto, realizzata. La vostra determinazione e il vostro impegno per la giustizia ispireranno altri e spingeranno al cambiamento per creare un mondo migliore per tutti».

Evidentemente per le istituzioni europee il velo islamico e il gender sono i tratti salienti con cui promuovere l'Europa nel resto del mondo.

Non certo un buon biglietto da visita.

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