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Ora che la Merkel è nei guai la Ue ridistribuisce i profughi

Dopo che l'emergenza ha toccato la Germania, la Commissione europea apre a modifiche per «rifilare» a tutti i Paesi membri quote dei (troppi) stranieri accolti

Ora che la Merkel è nei guai la Ue ridistribuisce i profughi

Fino a quando i profughi s'accontentavano di sbarcare in Italia il trattato di Dublino era intoccabile. Anzi le navi tedesche e degli altri Paesi europei, forti degli accordi che impongono allo sfortunato Paese d'arrivo l'obbligo di un accoglienza pressoché eterna, s'affrettavano a scodellare nei nostri porti i profughi del Mediterraneo. Il tutto sotto gli occhi di un governo Renzi sempre pronto a giustificarsi con la difficoltà di cambiare il mantra dublinese. Da quando, però, un milione e centomila profughi vagano per la Germania importunando le signore di Colonia e mettendo a rischio la sopravvivenza politica di Angela Merkel quel mantra sembra diventato un abominio da cancellare quanto prima. Anche perché la Cancelliera rifiutatasi, come le chiedevano i suoi stessi alleati, di fissare un limite al numero dei profughi è in un vicolo cieco. Non può deportare i profughi in esubero alla casella di partenza, come le garantirebbe il trattato, perché la Corte Europea dei Diritti Umani considera inadatta all'asilo una Grecia ridotta sul lastrico proprio dalle politiche punitive della Merkel. D'altra parte non può nemmeno chiudere definitivamente le frontiere tedesche trasformandosi nella «rottamatrice» finale di Schengen e, in ultima analisi, della stessa Unione Europea. In queste condizioni l'unico modo per sopravvivere alla ribellione del suo stesso partito ed evitare una disfatta alle elezioni regionali del prossimo 13 marzo è la modifica di Dublino. Da attuare ovviamente con la collaborazione di una Commissione pronta a scaricare sugli altri 27 partner europei i profughi di cui Berlino non riuscirà più farsi carico. L'elemento più interessante dell'ossequioso giro di valzer di una Commissione subordinata, anche stavolta, alle esigenze della Cancelliera è la tempistica. Stando ad alcune indiscrezioni raccolte dal Financial Times la Commissione, dopo aver dichiarato «sorpassate e ingiuste» le parti del Trattato di Dublino che rendono complessa la ripartizione, si prepara a «cancellarle in base ad una proposta da render pubblica entro marzo».Attenzione alle date. Alle idi di marzo sembra guardare anche il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk quando martedì scorso sottolinea davanti al Parlamento Europeo l'urgenza di «rimettere sotto controllo entro due mesi la crisi dei migranti» pena il collasso degli accordi di Schengen. Tutto insomma sembra muoversi in funzione di quelle consultazioni del 13 marzo nei Land del Palatinato Renano, della Sassonia e del Baden-Württemberg. Tre elezioni che rischiano di concludersi con una bruciante sconfitta della Cdu e l'incontrollabile ascesa dei gruppi euroscettici se la Cancelliera non riuscirà a trovare una soluzione al problema dei migranti. Per capire quanto la Merkel abbia bisogno della ciambella di salvataggio europeo basta allungare l'orecchio sugli umori della Germania. Da quelle parti, stando agli ultimi sondaggi, il 55 per cento dei tedeschi contesta le politiche sull'immigrazione. Inoltre Cdu e Csu, i due partiti gemelli fedeli alla Cancelliera, hanno perso il 2,5 per cento dei consensi scendendo, in una sola settimana, al 32,5 per cento. Ma a mettere ancor più a repentaglio la scelte politiche della Merkel contribuisce la lettera di protesta indirizzatale da 40 ribelli del suo partito che descrivono «un Paese sul punto di essere travolto» dalla marea dei profughi. Un Paese dove - aggiungono i ribelli - bisogna «applicare la legge» perché «se il numero degli arrivi rimane così alto o torna ancora a salire in primavera» sarà impossibile far fronte alle richieste di asilo e garantire adeguate condizioni di vita per i nuovi arrivati. Ma per salvare la Germania la Merkel preferisce applicare la legge degli altri. O meglio quelle confezionatele su misura da Bruxelles.

Sempre che Gran Bretagna e Paesi del nord siano disposti a dirle di sì.

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