Mondo

Ora lo Stato islamico rialzerà la testa

I rischi della mossa Usa, che fa un favore all'Iran e inguaia Israele

Ora lo Stato islamico rialzerà la testa

Una volta di più, Donald Trump sembra aver fatto una scelta che avrà numerose e inquietanti ricadute geostrategiche non solo in Medio Oriente basandosi unicamente su considerazioni di ordine elettorale. Ovvero confondendo il suo personale interesse politico con quello del Paese che rappresenta. Un Paese che è il cardine di importanti alleanze internazionali e il punto di riferimento di una quantità di nazioni alleate che sempre più stanno imparando un'amara lezione: se già con Barack Obama - che nella sua azione politica privilegiava il fronte sociale interno americano da posizioni di sinistra - c'era poco da attendersi quanto a visione comune, con Trump bisogna prendere atto che un'affidabile attitudine da alleato ce la si deve proprio scordare. Il presidente non solo sa poco e niente di geopolitica, ma è incline a mosse impulsive, vede le cose da un'angolazione di destra ultranazionalista e il suo slogan «America first» si traduce in scelte che degli interessi degli alleati degli Stati Uniti tengono poco o punto conto.

Non è un caso che anche a Washington le reazioni alla decisione del presidente siano state negative: per poter spendere in campagna elettorale lo slogan «portiamo a casa i nostri soldati, basta combattere guerre non nostre», Trump è andato contro l'opinione dei suoi generali, dei suoi diplomatici e della sua intelligence: tutti soggetti che al ruolo internazionale degli Stati Uniti sembrano tenere più del Commander in Chief. Avere di fatto pur nascondendosi dietro la formula del non sostegno americano a un attacco turco concesso il via libera a Erdogan per regolare in oltre confine i suoi conti con le milizie curde del Fronte democratico siriano significa sconvolgere gli equilibri già precari dell'intera regione mediorientale, dove tutto è complicatissimamente interconnesso. La lista delle conseguenze malaugurate è lunga. Come prima cosa, la Casa Bianca segnala una volta di più a chi si è fidato delle promesse americane che se ne dovrà pentire: le milizie curde sono state in prima fila contro lo Stato Islamico, e ora vengono lasciate sole a fronteggiare il potente esercito turco; i curdi tra l'altro hanno già assicurato di esser pronti alla guerra totale, e a questo punto cercheranno alleati in ogni direzione, Mosca compresa. Punto secondo: l'Isis ormai tramortito ma non sradicato ringrazia, perché non avrà più addosso i curdi e potrà rialzare la testa in Siria e nel nord dell'Iraq; tra l'altro, e non secondariamente, affidare a Erdogan la gestione di molte migliaia di prigionieri «europei» dell'Isis che sono in mano americana significa fornire allo spregiudicato leader turco una carta molto pesante per ricattare Francia, Germania e Gran Bretagna. Punto terzo: questa scelta disgraziata indebolisce Assad, e questo è al tempo stesso un regalo all'Iran che il raìs di Damasco potrà chiamare a rafforzare il suo sostegno militare in Siria e un guaio per Israele, che preferisce alle sue frontiere il male minore Assad a quelli maggiori Iran e Isis.

Naturalmente, non è scontato che Erdogan ordinerà l'attacco in grande stile nel nord della Siria che ha ripetutamente minacciato. A voler essere generosi con Trump, il presidente americano potrebbe avere deciso di correre il rischio di «vedere» il bluff di Ankara.

Un rischio molto alto per chi lo ha chiamato, ma anche per Erdogan, che potrebbe doversi limitare a un attacco su scala ridotta, magari occupando solo le città siriane di confine di Tal Abyad e Ras al-Ain, dalle quali gli americani si sono già ritirati.

Commenti