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Ossessione giustizialista della procura di Milano "Assolti da riprocessare"

Ricorso delle toghe contro la riforma Orlando Già nel 2006 Berlusconi tentò la modifica

Ossessione giustizialista della procura di Milano "Assolti da riprocessare"

Milano Bastano due assoluzioni a certificare l'innocenza di un uomo, o almeno un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza? Dopo anni di battaglie civili, la legge ha stabilito che sì, se per due volte un imputato è stato riconosciuto innocente la pubblica accusa si deve arrendere, tranne casi assai rari. Ma la magistratura milanese non ci sta, e a meno di tre mesi dalla sua entrata in vigore chiede che la norma garantista varata dal governo Gentiloni sia dichiarata incostituzionale. In questo modo, sostengono i magistrati, salta la parità tra accusa e difesa, e si allargano gli spazi per i colpevoli di farla franca.

A chiedere alla Cassazione di trasmettere alla Corte Costituzionale il decreto emesso il 4 luglio dal ministro Andrea Orlando - e divenuto esecutivo un mese dopo - è stata, d'intesa con i suoi capi, il sostituto procuratore generale Laura Barbaini. Non è un caso che si tratti dello stesso magistrato che due anni fa riaprì le indagini sul delitto di Garlasco, ottenendo che Alberto Stasi - assolto in primo grado ed in appello - venisse processato nuovamente, e condannato a tredici anni di carcere. Se la legge Orlando fosse stata in vigore già allora, Stasi oggi sarebbe libero e la morte di Chiara Poggi non avrebbe un colpevole.

L'occasione per sollevare il caso è offerta da un processo per malavita organizzata, che ha visto i presunti riciclatori di un clan calabrese di Lecco assolti in tribunale e in appello. La Procura generale è convinta della loro colpevolezza, ma il ricorso in Cassazione è reso impossibile dalla nuova norma. Nel caso di doppia assoluzione, la legge ora prevede che il ricorso in Cassazione da parte dell'accusa sia possibile solo di fronte a «vizio di legge», ovvero a violazioni evidenti delle regole del processo: fortunatamente, non accade spesso. D'ora in avanti non è più consentito il ricorso in Cassazione per «vizio di motivazione», che era nella stragrande maggioranza dei casi l'appiglio cui le Procure si aggrappavo per riaprire in Cassazione processi già persi in tribunale e in appello.

Ora, dice la legge, le Procure devono arrendersi: se per due volte giudici imparziali hanno ritenuto inconsistenti le accuse, l'imputato ha diritto ad essere considerato innocente e lasciato in pace. A questo risultato si è arrivati con fatica, dopo anni di discussioni (nel 2006 una legge analoga ma di portata più vasta, varata dal governo Berlusconi, fu dichiarata incostituzionale). Il testo attuale è frutto del lavoro della commissione presieduta dal primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, che alla fine ha messo nero su bianco quanto anche il comune uomo della strada può pensare: se per condannare un uomo serve che sia colpevole «aldilà di ogni ragionevole dubbio», come si fa a dichiarare colpevole un imputato delle cui prove per due volte giudici togati hanno dubitato fino ad assolverlo? Per la «commissione Canzio», una doppia assoluzione equivale alla ragionevole certezza dell'innocenza.

Contro la legge circolavano da settimane i brontolii di parte delle toghe: secondo le quali anche questo testo violerebbe (come a suo tempo la cosiddetta «legge Pecorella») il principio sancito dall'articolo 111 della Costituzione, secondo cui «ogni processo si svolge in contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità». Proprio la parità tra accusa e difesa verrebbe sparigliata dalla legge Orlando.

Ora la Procura generale di Milano esce allo scoperto, e si candida a guidare il fronte che punta a spazzare via la nuova legge. Certo, l'operazione ha di fronte a sè un ostacolo non facile: il primo vaglio della eccezione di incostituzionalità, per valutarne eventualmente la «manifesta infondatezza» prima di trasmetterla alla Consulta, andrà compiuto dalla Cassazione: cioè dallo stesso ufficio il cui presidente, Giovanni Canzio, è di fatto il «padre» della riforma.

Riuscirà la Procura di Milano a trovare in Cassazione una sezione disposta a sconfessare l'operato del proprio presidente? Il futuro della «legge Orlando» è appeso a questo interrogativo.

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