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Il paese distrutto due volte: dal terremoto e dal governo

Dalla legge di stabilità neanche un euro di risarcimento per il sisma che nel 2002 colpì San Giuliano di Puglia

Il paese distrutto due volte: dal terremoto e dal governo

San Giuliano di Puglia (CB) - Niente soldi dal Governo per le vittime del terremoto: San Giuliano di Puglia finisce all'asta. A raccontarla non pare vera, la storia del paese che dopo aver visto tanti suoi figli morire tra le macerie d'una scuola viene condannato a risarcirne i padri, riducendosi a vendere anche la scuola assassina. Invece in Molise esiste un luogo dove l'assurdo diventa realtà, superando la fantasia. A San Giuliano di Puglia il tempo e la logica si sono fermati al 31 ottobre del 2002. È di giovedì: alle 11.32 un boato squassa la quiete. La terra trema: 5.4 scala Richter, segnano i sismografi. Il tremore viene avvertito fino a Taranto, ma è lì, tra i monti Frentani e la valle del Fortore, che si consuma la tragedia: come fosse un fuscello in preda alla bufera, la «Francesco Jovine» svanisce all'orizzonte. L'edificio che ospita materne, elementari e medie è l'unico a cadere, facendosi tomba di 27 bimbi e d'una maestra. Tutto accade, si ipotizza da subito, per i lavori di sopraelevazione da poco eseguiti, non sottoposti a verifiche sismiche perché non obbligatorie, per la legge, in un comune non sismico quale San Giuliano di Puglia, ironia della sorte, è classificato. Il resto è litanìa italiana: funerali, promesse, processi. Per il crollo pagano in cinque: assolti in primo grado, condannati in appello, con pene poi limate e confermate in Cassazione.

Tra loro il progettista, il capo dell'ufficio tecnico comunale, i costruttori e il sindaco del tempo, che sotto i solai della «Jovine» perse una figlia. Giustizia matrigna. Individuati i colpevoli, si apre la corsa al risarcimento. E il Tribunale di Campobasso, tra un sentenza e l'altra, calcola in 35 i milioni di euro da riconoscere a 18 tra sopravvissuti e parenti delle vittime, per provare a ricucire almeno le ferite materiali d'una terra straziata. Il conto viene presentato al Comune, che quei soldi non li ha. Tre settimane fa il sindaco, Luigi Barbieri, scrive al premier e al Capo dello Stato: «Il nostro piccolo Municipio, coi suoi 1050 abitanti, rischia la definitiva scomparsa: quegli stessi cittadini che hanno subito un danno immane, avendo perso un'intera generazione di bambini, si trovano a dover risarcire se stessi». Si sperava in un aiuto, ma da Roma non è giunto alcun segnale: muto Renzi, silente Mattarella. E quando lo schema della legge di stabilità è diventato ufficiale, neppure un centesimo per il borgo molisano, Barbieri ha alzato bandiera bianca. L'annuncio è arrivato ieri, durante una manifestazione organizzata dal Consiglio nazionale dei geologi e dall'Associazione vittime universitarie del sisma dell'Aquila: «A settimane sarà dissesto finanziario. In queste ore abbiamo approvato in giunta la delibera per la messa in vendita di tutti i beni comunali». Nell'elenco figurano il villaggio realizzato per ospitare i senza casa all'indomani del sisma, la piscina, il palazzetto dello sport, il centro anziani, il museo e, ironia della sorte, un'ala della ricostruita scuola «Jovine». «Chi comprerà mai questi beni, per di più al loro prezzo reale? Chi spenderebbe 5 milioni per la piscina di San Giuliano?», si domanda Barbieri, lanciando l'ennesimo, disperato appello al Governo: «Ascoltateci, incontrateci». Parole all'Italia che dimentica. A quella che, ha commentato amaro il presidente dei geologi molisani, Domenico Angelone, «ha la memoria corta e scorda facilmente le tragedie». Tutto è perduto.

Anche l'onore.

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