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Quel paese tormentato in "fuga" dall'Occidente

Ankara vive una stagione di profondo malessere a causa delle scelte politiche e del sogno di islamizzazione: diventata paladina di Hamas, è sospettata pure di collusione con Isis

Quel paese tormentato in "fuga" dall'Occidente

Sognava un trono da sultano, ma rischia una fine da apprendista stregone. Le forze evocate o risvegliate da Recep Tayyip Erdogan nel tentativo di regalare sembianze islamiste alla Turchia ereditata da Mustafa Kemal minacciano ora di travolgerlo. Certo il terrorismo vetero-comunista dei «brigatisti» che hanno preso in ostaggio e ucciso un magistrato, le irruzioni nelle sedi del partito del presidente e gli attacchi alla polizia hanno poco a che vedere con democrazia, laicismo e valori occidentali. Sono però il segnale del profondo malessere generato dalle politiche di Erdogan. Politiche rivolte a cancellare l'immagine laica della Turchia per sostituirla con quella di un paese vicino ai canoni islamici. Un tentativo che spazia dalla società alla politica estera, dall'istruzione alla giustizia.

L'inizio di tutto è il tentativo di cancellare quel divieto all'uso del velo negli uffici pubblici e nelle università considerato l'essenza formale della Turchia laica di Mustafa Kemal Ataturk. Quel primo affondo viene bloccato nel 2008 dalla Corte Suprema che definisce incostituzionale la cancellazione delle norme fondanti della nazione. Nessuno riesce, invece, a fermare il ripulisti, a colpi d'inchieste e arresti, di generali e magistrati fedeli ai vecchi principi ed accusati, per questo, di ordire complotti e colpi di Stato. Quel che più alimenta il disagio dell'opinione pubblica è però l'evidente insofferenza del regime verso qualsiasi tipo di contestazione. Un disagio che nel 2013, dopo l'ennesimo diktat del governo, trasforma le dimostrazioni in difesa di Gezi Park, piccola area verde di Istanbul sin dai tempi di Ataturk, nella prima contestazione di massa del regime. Le dimostrazioni non fermano la marcia islamista di Erdogan. Non paghi di aver raddoppiato le scuole islamiche i fedelissimi del presidente puntano a reintrodurre l'insegnamento dell'antico ottomano basato sull'alfabeto arabo mentre il presidente e i suoi ministri si lanciano in violente filippiche contro il genere femminile. Nel frattempo il consumo di alcolici viene ridimensionato attraverso l'imposizione di pesanti tasse e proibendone il consumo in prossimità dei luoghi di culto.

La svolta più drastica si registra in politica estera. Rotti i ponti con Israele Erdogan si trasforma nel paladino di Hamas e di altri movimenti dell'estremismo sunnita. E subito dopo, allo scoppio del conflitto siriano, le frontiere turche diventano i santuari dello Stato Islamico e di vari gruppi alqaidisti. L'aeroporto di Istanbul si trasforma, invece, nello scalo preferito da decine di migliaia di jihadisti, tremila dei quali europei, diretti verso i fronti siriani. L'apparente collusione con lo Stato Islamico si fa ancor più evidente quando la Turchia rifiuta, nonostante l'appartenenza alla Nato, di concedere l'utilizzo delle proprie basi nell'ambito delle operazioni militari contro le postazioni del Califfato in Siria ed Iraq. Dietro quel rifiuto si celano - secondo uno studio dell'Istituto per i Diritti Umani della Columbia University di New York - stretti legami con il Califfato e altre organizzazioni Al Qaidiste gestiti dai servizi segreti di Ankara allo scopo di garantire all'Isis «cooperazione militare, trasferimento di armi, supporto logistico, assistenza finanziaria e fornitura di assistenza». Accuse sostanziate dai video del sito Haber.com in cui si vedono i convogli dell'esercito turco in una zona, alla frontiera di Karkamis, dove sventolano le bandiere nere dell'Isis. O dalle foto di odatv.com , in cui i soldati turchi si fanno ritrarre insieme ai militanti dell'Isis intorno alla città curda di Kobane.

Evidenze da cui emerge il sospetto, afferma il dossier, che Ankara abbia «chiuso più di un occhio sull'attacco a quella città».

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