Guerra in Israele

Il Paese è unito: la vittoria è necessaria per la sopravvivenza

Il Paese è unito: la vittoria è necessaria per la sopravvivenza

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Il Paese è unito: la vittoria è necessaria per la sopravvivenza

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L'allarme per un possibile attacco iraniano non è ufficiale ma nei rifugi si accumulano bottiglie d'acqua; la guerra con Hamas è in corso; a una settimana dalla Pasqua le famiglie preparano un triste tavolo per i rapiti; i ragazzi nell'esercito restano tutti consegnati. Israele non è solo in guerra: è una democrazia appassionata in guerra, e questa passione crea scontro. Ma la storia dello scontro per condannare Israele alla sconfitta a causa di Netanyahu crea confusione. E quindi: nonostante la rottura fra gli Usa e Israele che avrebbe allontanato Biden da Israele, a fronte delle minacce iraniane gli Stani Uniti, dice il presidente, sono alleati d'acciaio di Tel Aviv. Ripete anche che concorda sull'eliminazione di Hamas, e che Bibi deve mantenere la promessa di aiuti umanitari per la gente, e non deve entrare a Rafah. Israele risponde: i camion si affollano a centinaia, si aprono i passaggi, dentro Gaza si combatte meno e si apre alla gente la strada per Khan Yunes. Come richiesto. E se Hamas si avventa sugli aiuti umanitari, è colpa sua, come l'ennesimo «no» sugli ostaggi.

Ma come, si dice sempre che Bibi che non è disposto a dare abbastanza e le famiglie sono contro di lui. La verità è che le famiglie sono divise: le manifestazioni che chiedono di concedere tutto e subito hanno come contrappeso quelle che protestano perché il numero dei soldati dentro la striscia è diminuito, chiedono di combattere duramente e di non fornire aiuti umanitari. Pensano che solo la pressione militare consentirà un accordo. Ma Sinwar vede che il mondo intero insiste sul suo scopo: un cessate il fuoco definitivo per ricostruire Hamas. Contando sull'Onu e l'Ue, Sinwar aspetta che l'ingresso a Rafah sia cancellato: là ha ancora 4 battaglioni. Israele da settimane lavora con gli Usa per entrare senza un disastro umanitario. Il premier non è il colpevole protagonista della scelta di Rafah: non c'è un solo membro del Gabinetto e della maggioranza alla Knesset che sia contro.

Si può essere di destra o di sinistra e volere le elezioni per un nuovo premier: niente di male. Ma che la vittoria sia necessaria per la sopravvivenza, in Israele è senso comune. Senza eliminare Hamas, nessuno accetterà, neppure l'Autorità Palestinese, di gestire il futuro di Gaza. Quando Israele distrusse il nucleare iracheno, gli Usa li condannarono. Nel 67 Lyndon Johnson minacciò: se andate soli, resterete soli. Gli Usa hanno le elezioni, Biden fa il proprio gioco. E Bibi non è di sinistra, ha vinto troppe volte, e un conservatore liberal che gestisce le leggi più avanzate per le famiglie Lgbtq ma piace ai religiosi; ha reso Israele un'avanguardia. E ha anche portato a casa il peggior disastro possibile, il 7 ottobre. Combatte una guerra lunga, ma avanza, i missili sono cessati, le perdite a Gaza sono contenute dato che 13mila terroristi sono stati eliminati, le tragedie tipo quella della World Central Kitchen capitano. Il Paese ha una gran voglia di recuperare, di vivere, di pace. Lo sforzo è eroico.

L'attacco continuo a Netanyahu confonde e distoglie l'Occidente da tappe fatali.

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