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"Io, mafioso a mia insaputa. Ho rischiato 12 anni di carcere"

Pagliani, consigliere di Forza Italia a Reggio Emilia ora assolto: "Colpito perché mi opponevo alle coop rosse"

"Io, mafioso a mia insaputa. Ho rischiato 12 anni di carcere"

Arrestato come un boss, nel cuore della notte. Detenuto per 22 giorni nel carcere di Parma, lo stesso di Totò Riina. «Mi sono piombati in casa alle 3 e mezza, mi sono ritrovato da un minuto all'altro mafioso a mia insaputa, accusato di concorso esterno e con una richiesta di condanna a 12 anni, anzi in realtà a 18, 12 con lo sconto per il rito abbreviato. Io, che mi sono sempre battuto per la legalità e che, vengo dal Fronte della gioventù, avevo come eroe Paolo Borsellino. Si rende conto?».

Giuseppe Pagliani, 42 anni, consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Emilia e capogruppo azzurro in Provincia, è stato appena assolto «per non aver commesso il fatto» nel processo Aemilia, il maxi processo che in Emilia Romagna ha portato alla sbarra decine di affiliati alla ndrangheta e qualche politico. Solo del centrodestra. Come l'ex assessore a Parma Giovanni Bernini, ora prosciolto. Una vicenda che definire kafkiana è un eufemismo, quella di Pagliani. Lui, avvocato, arrestato il 28 gennaio del 2015 e scarcerato il 19 febbraio, ce l'ha fatta a tirarsi fuori: «Perché sono avvocato - dice - e ho una formazione penalistica, perché mi hanno difeso principi del foro come gli avvocati Alessandro Silveri e Romano Corsi. Ma il cittadino x riconosce rimane stritolato, schiacciato dalla mole di carte, disorientato da accuse assurde. Io stesso mi rendo conto solo adesso di quanto sia facile restare vittime della malagiustizia. E in futuro sono pronto a difendere gratis innocenti che dovessero trovarsi in simili vicende».

Cosa ha fatto mai Pagliani per ritrovarsi in questo caso giudiziario? «In un lampo improvviso di follia - ironizza - qualcuno si è convinto che a Reggio Emilia il concorso potesse essere rappresentato da esponenti dell'opposizione lontani dagli appalti, come me». La sua «colpa», se così si può chiamare, consiste in due incontri con alcuni personaggi di origine calabrese poi finiti inquisiti nel caso Aemilia. «Ma queste persone - sottolinea Pagliani - io nemmeno le conoscevo». E invece per il pm nel primo incontro, il 2 marzo del 2012, viene stipulato il patto mafioso. Nel secondo, una cena in un locale pubblico a cui erano presenti decine di persone, il patto si sarebbe consolidato. «Una follia - dice Pagliani - io a quella cena, di fatto uno sfogatoio di questi che ce l'avevano con le coop rosse, conoscevo solo alcune persone delle quali non avevo motivo di dubitare. E quando qualche giorno dopo un amico avvocato mi disse che c'era qualche personaggio equivoco troncai ogni contatto». Vero, tanto vero che nelle intercettazioni uno degli indagati non ricorda neppure il nome dell'avvocato Pagliani. «Le benedico ogni giorno le intercettazioni - continua - è grazie ai brogliacci che siamo riusciti a ricostruire tutto e a smontare la teoria del pm».

Non è stato il solo, Pagliani, a incontrare i calabresi in odor di 'ndrangheta. L'allora sindaco di Reggio Emilia, ora ministro, Graziano Delrio, è andato anche in visita istituzionale in Calabria, a Cutro. «E li ha pure - aggiunge Pagliani - portati dal prefetto. Io no». Eppure Delrio non è stato nemmeno indagato, è stato solo sentito come testimone. Pagliani invece «non poteva non sapere»: quindi è finito in galera. «Eppure - dice il politico azzurro - la decisione del tribunale del Riesame (non appellata dai pm, ndr) che mi ha scarcerato era granitica. A quel punto una procura di media o bassa intelligenza avrebbe dovuto chiedere l'archiviazione. E invece hanno insistito. Nella requisitoria il pm è arrivato a sostenere che io avevo incontrato uno dei coimputati, Brescia. Meno male che ho potuto dimostrare che quell'appuntamento, segnato in agenda, in realtà era un incontro professionale a Brescia, con un avvocato».

Perché è accaduto tutto questo? «Me lo sono chiesto - dice Pagliani - mi sono domandato perché io?». E la risposta? «Da consigliere d'opposizione avevo avuto per le mani vicende delicate come Global service. Come oppositore strenuo al sistema locale delle coop rosse davo fastidio». Accanimento contro Forza Italia? «Sì, c'è stato, il Pd invece è stato difeso». Ha temuto di essere schiacciato da una condanna? «Mai, nemmeno per un secondo. Sapevo di essere innocente, c'è stato il sostegno di tanti amici e non, tutti hanno capito che non c'entravo nulla.

Tutti tranne il pm».

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