Politica

Il Papa che fa politica e la rabbia dei cattolici

Colpisce la quantità di mail e messaggi che stanno arrivando in redazione dopo la bufera mediatica

Il Papa che fa politica e la rabbia dei cattolici

Colpisce la quantità di mail e messaggi che stanno arrivando in redazione dopo la bufera mediatica scatenata dalle anticipazioni del messaggio che papa Francesco ha preparato per la «Giornata mondiale del migrante e del rifugiato» del prossimo 14 gennaio e il cui titolo recita «Accogliere, proteggere, promuovere e integrare». Proteste inviate da lettori di dichiarata e solida fede cristiana, rimasti a dir poco disorientati dalla decisa presa di posizione del papa su un tema così delicato nell'agenda politica del nostro Paese come l'iter parlamentare della legge per la concessione dello ius soli, la concessione della cittadinanza a chiunque nasca sul suolo italiano o semplicemente compia un ciclo di studi come quello delle scuole elementari. Decisa è stata la presa di posizione del Giornale con il titolo di prima pagina e il fondo del direttore Sallusti pronti a denunciare «Il golpe del papa re» e nel sommario il «Patto segreto con Gentiloni», nome che rievoca non expedit e altri accordi. Una posizione dura, come nella tradizione del nostro quotidiano quando a salire è l'indignazione per qualcosa che travalica la divisione dei ruoli e dei poteri su cui poggia le fondamenta uno Stato moderno che a differenza dell'islam ha ben chiara la distinzione tra il potere religioso e quello politico.

E quindi pazienza se questa volta il bersaglio (comunque dialettico) è quel santo padre che essendosi occupato di faccende terrene e non di dogmi o temi teologici non parla ex cathedra. Non è quindi investito dall'infallibilità dottrinaria e può essere legittimamente criticato anche dal cattolico più osservante. E questo hanno riconosciuto tanti lettori e tantissimi fedeli in questi giorni di grande turbamento dopo aver letto che «va riconosciuta e certificata» la nazionalità e a tutti i bambini «va assicurato l'accesso regolare all'istruzione primaria e secondaria». Sua Santità, nessuno in Italia ha mai negato a un bambino l'accesso a una scuola e il diritto alla cultura. Anzi, sono troppo spesso i genitori obnubilati da religioni oscurantiste o civiltà barbariche a impedire ai figli di prendere in mano i libri di un Occidente più maledetto che desiderato. E ancor più incomprensibile al solitamente molto disciplinato gregge dei cattolici è stata l'intrusione di Bergoglio in temi che competono al potere legislativo di uno Stato che si dice sovrano. «Lo status migratorio - le sue parole - non dovrebbe limitare l'accesso all'assistenza sanitaria nazionale e ai sistemi pensionistici, come pure al trasferimento dei loro contributi nel caso di rimpatrio», l'invasione di campo che in molti faticano a capire e ancora più a condividere. Cosa c'entrano le pensioni? Un conto è l'esercizio della carità che insieme a fede e speranza è virtù teologale e dunque uno dei pilastri su cui si fonda la vita del cristiano (e dunque materia vaticana), un altro è chiedere dall'interno delle Mura Leonine pensione e assistenza sanitaria garantite per legge (italiana). A migranti e rifugiati, perché di clandestini e irregolari non si sente mai parlare. Certo non è il papa a doverlo fare, nella corretta interpretazione del suo magistero che predica la carità come amore di Dio, amando come se stessi anche quel prossimo in cui Dio quotidianamente si fa carne. La città di Dio, ma poi c'è la città dell'uomo e lì la faccenda, purtroppo, si fa sempre più complicata.

E forse, per non fare ancor più confusione, certi segnali il papa farebbe magari meglio ad affidarli alla Cei e ai vescovi.

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