Cronache

Parcheggi e 'ndrangheta Le mani delle cosche sullo scalo di Malpensa

L'Antimafia di Milano arresta 34 persone Decisivo un imprenditore che rompe il silenzio

Parcheggi e 'ndrangheta Le mani delle cosche sullo scalo di Malpensa

Eleggono sindaci, piazzano assessori, corrompono poliziotti e consulenti delle Procure. E mettono le mani su qualunque business si muova: ultima trovata, i parcheggi privati sorti intorno all'aeroporto di Malpensa. Basta qualche acro di terra e metodi brutali per fa fuori la concorrenza. Sono gli uomini della 'ndrangheta al nord, sempre nuovi ma in fondo sempre uguali. Tanto che alla fine il procuratore aggiunto Alessandra Dolci, capo del pool antimafia di Milano, ha un moto di scoramento: «Qui non cambia mai niente, ma noi non molliamo».

«Qui» sta per Milano, per la Lombardia felix motore economico del Paese, dove i clan malavitosi da trent'anni finiscono in galera a ripetizione, eppure si rigenerano, rifioriscono, sviluppano nuovi appetiti e nuove brutalità. Ne finiscono in galera ventisette e sette ai domiciliari, ieri mattina. Ed è una indagine impressionante perché viaggia parallela ad una altra inchiesta, quella che il 7 maggio scorso ha mandato in carcere esponenti di spicco di Forza Italia, accusati di corruzione e di turbative d'asta. Le due indagini si muovono in larga parte negli stessi Comuni lombardi. E hanno lo stesso «pentito».

Dalle carte dell'ordinanza di custodia chiesta dal pm Alessandra Cerreti e Cecilia Vassena, si scopre che Danilo Rivolta, sindaco forzista di Lonate Pozzolo, arrestato per corruzione nel 2017, è diventato una «gola profonda» a 360 gradi per le indagini della Procura milanese. Ha parlato di tangenti e di appalti. Ma ha anche raccontato come il suo Comune fosse nelle mani della 'ndrangheta. Di fatto, la cittadina lombarda è una colonia di Cirò Marina, provincia di Crotone, da cui centinaia di persone sono emigrate tutte a Lonate. E hanno imposto i loro metodi. Ne sa qualcosa lo stesso Rivolta, che dopo avere preso i voti dei clan per farsi eleggere, non li aveva accontentati su un appalto. Gli bruciarono l'auto. Quanto accade dopo è istruttivo.

Il sindaco Rivolta va a incontrare due 'ndranghetisti. Uno è a volto scoperto, vive a Lonate e il sindaco lo conosce bene. L'altro è mascherato, e non parla. Perché il sindaco va all'incontro? Risposta: «Me lo chiese Aldo Sangalli». Sangalli non è un calabrese: è un lombardo doc, un imprenditore che foraggia da tempo il sindaco di Lonate. Ma evidentemente ha contatti stretti con i mafiosi calabresi. Particolare importante: anche Sangalli gestisce un parking alle porte di Malpensa. Forse i picciotti di Cirò hanno preso l'idea da lui.

Nella giunta dell'epoca, secondo l'ordinanza, ci sono oltre a Rivolta ben tre assessori «strettamente legati al Locale», cioè alla sezione 'ndranghetista di Lonate. Sono Patrizia De Novara, rampolla di una delle famiglie più gravate da precedenti, Francesco Lamazza e Antonio Patera. È Lamazza, in particolare, che nelle sue confessioni Rivolta indica come il più attivo nell'introdurre nell'amministrazione gli esponenti delle cosche. E non è tutto: al servizio dei clan c'è un dipendente del Comune, Enzo Misiano, che è anche consigliere per Fratelli d'Italia nel paese accanto. C'è un vigile urbano. E c'è un esperto informatico che si chiama Giovanni Vicenzino, collabora con la procura di Busto, e ovviamente passa «dritte» al clan.

L'arroganza dei clan è tale che il pregiudicato Franco De Novara, padre di un'assessora, un giorno protesta col sindaco perché alla figlia toccava gestire una iniziativa sulla legalità.

«Non cambia mai niente», dice la Dolci. Ma forse non è del tutto vero. Questa volta qualcuno si è ribellato: sono i due imprenditori che volevamo anche loro aprire un parking e ricevettero il veto dei clan, «qualunque cosa viene fatta lì sono io che vado lì e scasso tutto». Ma i due imprenditori andarono dai carabinieri e raccontarono tutto.

«A memoria mia, è la prima volta» dice la Dolci.

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