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È partita la campagna contro il ddl Boschi: "Il premier ora rischia"

Opposizioni unite nella raccolta firme per il referendum sulle riforme Renzi sogna un plebiscito. Forza Italia: "Basteranno 13 milioni di no"

È partita la campagna contro il ddl Boschi: "Il premier ora rischia"

Archiviato un referendum, se ne fa un altro. E quello costituzionale di ottobre sulla riforma Boschi ha ben altro peso rispetto alle trivelle in mare. Perché lo stesso premier Matteo Renzi lo ha trasformato in un vero e proprio plebiscito pro o contro la sua persona e il suo governo.

Per questo, appena la riforma è stata approvata definitivamente in Parlamento, tutte le opposizioni si sono unite in uno schieramento trasversale per promuoverne la bocciatura ed è partita la raccolta delle firme, che sarà presentata in Cassazione. Ieri già alla Camera, su iniziativa di Danilo Toninelli (M5S), insieme a Roberto Occhiuto (Fi), Stefano Quaranta (Si-Sel) e Cristian Invernizzi (Lega) e oggi in Senato, dove la richiesta al presidente Pietro Grasso è stata presentata da Antonio D'Alì (Fi), con i delegati Vito Crimi (M5S), Loredana De Petris (Sel) e Gian Marco Centinaio (Lega).

In ambedue le Camere si prevede di superare ampiamente il numero di promotori previsti dall'articolo 138 della Costituzione, un quinto dei membri: 65 senatori e 126 deputati. I gruppi delle opposizioni dovrebbero aderire in blocco. Intanto, si muove per raccogliere 500mila firme di cittadini anche il Comitato per il no, che ieri ha presentato il quesito in Cassazione.

Se l'appello diretto al popolo sulle trivelle è naufragato sullo scoglio del quorum, stavolta il problema non ci sarà. E non avranno senso i controversi appelli all'astensionismo del premier. Che comunque non hanno impedito la mobilitazione di quasi 16 milioni di persone, oltre 13 delle quali per dire sì, contro le trivelle ma ancor più contro Renzi.

Il premier sa bene che dovrà riconquistare questi elettori, perché lui stesso ha caricato di significato politico il referendum di domenica, mettendo in secondo piano il vero obiettivo. Ora analizza il voto, annusa gli umori, cerca di capirne la componente giovanile, di scoprire che c'è dietro al sì delle Regioni che hanno partecipato oltre alle aspettative pur non essendo direttamente interessate all'estrazione di gas e petrolio.

La prova generale del referendum sul Senato offre indicazioni utili per la nuova chiamata alle urne che dovrebbe essere il 16 ottobre, dopo le amministrative in cui il blocco delle opposizioni si dividerà sui diversi candidati.

«Credo che dopo il voto sulle trivelle - dice l'azzurro D'Alì - Renzi abbia di che preoccuparsi, altro che trionfalismi. Il 33 per cento di partecipazione popolare e quasi tutti sì, è un segnale forte. È più della metà degli elettori alle europee, da cui il premier dice di trarre la sua legittimazione. Da come si stanno mettendo le cose, il referendum di ottobre appare rischioso per lui. Credo che correggerà il tiro: ha sbagliato a farne un plebiscito su di lui, una specie di voto di fiducia al governo. Ora se ne rende conto».

Il capogruppo di Fi alla Camera, Renato Brunetta, appena firmato per il referendum, fa i conti: «A ottobre basteranno poco più di 13 milioni di no».

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